09.11.2024
Sembrava una soluzione al caro-affitti. Un modello abitativo diffuso in altre parti del mondo sbarca in Italia e sta già facendo discutere. Si vive nello stesso edificio, si condividono gli spazi comuni e viene narrato come un risparmio economico, ma la realtà è ben diversa. L’inchiesta.
Il co-living è davvero la soluzione contro il caro-affitti? Sbarcato da poco a Milano, il primo progetto dell’azienda belga Cohabs in Italia sta già facendo discutere. Un modello, questo, nato in Danimarca e già diffuso in altre parti del mondo come Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, che prevede la condivisione di spazi comuni all’interno di un appartamento o di un intero condominio. Una soluzione che almeno in linea teorica dovrebbe aiutare ad ammortizzare i costi, e quindi, sempre in linea teorica, essere ottimale anche per coloro che vivono con difficoltà economiche. Ma è davvero così?
Situato nella zona Dateo, vicino al centro del capoluogo lombardo, l’edificio comprende 27 stanze singole di varie dimensioni, con costi mensili che variano dai 1196 ai 1419 euro mensili, a seconda della grandezza e della presenza (o dell’assenza) di un bagno privato. Due i bagni completi di tutti i servizi – doccia e bidet – a disposizione degli inquilini. In compenso, però, ci sono un giardino con forno per pizza e barbecue, sala tv, una cucina spaziosa e una palestra. Ancora, il canone mensile comprende le pulizie settimanali, tutte le utenze, un abbonamento a Netflix e corsi e workshop organizzati da Cohabs. Emanuele Bressan, city manager di Cohans, ha spiegato che parte integrante del costo è l’esperienza: «Gli eventi organizzati sono dei momenti utili per fare gruppo. Organizziamo spesso dei brunch tutti insieme». Insomma, sembrerebbe più che altro una soluzione alla portata di chi difficoltà non ne ha e soprattutto una soluzione per coloro che sono alla ricerca di un’avventura più che di una casa o una stanza per esigenze di studio o lavorative.
E in effetti è così, perché la stessa azienda belga non ha mai avuto la pretesa di presentarsi come un’iniziativa popolare. Il problema allora è la narrazione che viene costruita intorno al modello di co-living, spesso dipinto come una soluzione economica e accessibile. Ma guardando in faccia la realtà – almeno nel nostro Paese – no, il co-living non è sinonimo di ristrettezza economica, anzi. Perché i servizi inclusi sono certamente degni di nota, e non rientrano tra quelli che si potrebbero definire bisogni essenziali, come per esempio una cucina, un bagno, un letto per dormire e un tetto sopra la testa.