01.04.2024
Il fenomeno della “restanza” coinvolge tutta la penisola, interessando soprattutto le città meridionali. Molti i giovani che decidono di investire nel proprio territorio, avvalendosi delle competenze o delle conoscenze apprese durante gli anni all’estero, accettando rischi e difficoltà.
E se l’Italia fosse un Paese per giovani? Ci sono storie di persone che tornano in Italia o che non sono mai partite, che decidono di buttarsi in un progetto, magari in apparenza impossibile, che poi decolla e funziona. Non è casuale se di queste storie ne ascoltiamo sempre di più, è un timido sintomo di una tendenza sociale che coinvolge i giovanissimi e i giovani adulti, che si dicono felici della scelta fatta.
I dati statistici mostrano che la maggior parte delle persone che emigra proviene dalle regioni meridionali della penisola, che tendenzialmente offrono meno prospettive, meno incentivi, e meno fiducia. Non sempre si tratta di una scelta definitiva. Nel flusso di coloro che decidono di espatriare ci sono tanti laureati, ma anche tanti giovani con titoli di studio medio-basso e la destinazione predominante resta l’Europa. Il punto, tuttavia, non è solo partire, tornare o restare, è piuttosto comprendere che da queste dinamiche impattanti scaturiscono effetti sociali, economici e culturali, che dimostrano quanto le cose siano ogni volta più complesse di come appaiono.
C’è nell’aria, negli ultimi anni, proprio i più recenti, una ricerca di autenticità e semplicità nei più giovani, quelli compresi tra i venti e i trent’anni circa, che li riporta nei propri luoghi di origine. Ci sono quelli che vanno via per necessità, e lo fanno perché non vedono futuro, ma qualcosa poi cambia a un certo punto e nuovi, o dimenticati, bisogni tornano a farsi sentire. Quindi, si torna a casa. E ci sono quelli che, invece, non vanno proprio via, e, pur con fatica, decidono di restare nella propria città e tentare lì la fortuna. Questi fenomeni non sono solo nell’aria, sono anche nei numeri: i dati disponibili relativi agli ultimi due anni mettono in luce due tendenze interessanti, cioè l’aumento dei giovani che rimpatriano e la decrescita di chi espatria.
Il fenomeno del rientro in patria coinvolge tutta la penisola, dal nord al sud, interessando soprattutto le città meridionali. Chi torna lo fa per ragioni sociali, quindi familiari e affettive, ma lo fa anche perché ha il desiderio e la speranza di costruire qualcosa nella propria terra, anche se questa presenta delle condizioni non sempre favorevoli. E, ancora, lo fa perché sente il bisogno di riscoprire la bellezza del luogo, riprendersi il proprio tempo. Gli stessi motivi animano anche coloro che decidono di restare e di non fare esperienze all’estero, neanche in via transitoria. Questi giovani vogliono investire sul proprio territorio, esserne una componente attiva, avvalendosi delle competenze e delle conoscenze apprese durante gli anni all’estero e accettando i rischi e le difficoltà che potrebbero incontrare sul percorso.
Chi studia le dinamiche giovanili usa il termine “restanza”, coniazione non recente ma tornata in auge grazie all’antropologo Vito Teti. “Restante” è chi torna o chi resta nella propria terra d’origine, con decisione e ostinazione, assumendo un atteggiamento propositivo verso di essa. Perché se ci vuole tanto coraggio a lasciar tutto e andare via, ce ne vuole tanto anche a restare, o tornare.