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Cultura

Cultura delle vacanze digitali, lontano da tutto e da tutti

24.06.2023

Mentre una volta le vacanze erano per l’élite, che mollemente si concedeva al riposo nelle ville lontane, oggi sono per il “turista globale” che si affida sempre più spesso ai pacchetti del “tutto compreso”. Grazie “big data”.

Mille mete, un ventaglio di possibilità. Prima di partire è forse utile comprendere quanto il viaggio non sia riducibile a un semplice spostamento tra luoghi diversi, ma ad un evento che mette in moto un vero e proprio “processo cognitivo” applicato a un territorio. E’vietata ogni fruizione passiva, perché a scattare interviene un’interazione sociale nella quale entrano in gioco i valori culturali del viaggiatore e quell’attitudine all’andamento rettilineo (“una retta che avanza pencolando nel nulla”, Claudio Magris), che si trasforma in un fuggire da tutto e da tutti, svellere legami, oltrepassare limiti e scoprire la precarietà del mondo oltre che la propria.

Uhmm, pensavo che andare in vacanza, non prevedesse una seduta psicoanalitica sul lettino del Dott. Sigmund Freud! Tranquillizzatevi, le origini latine di vacuum, cioè di quel vuoto, tempo libero da altri impegni, diventava serbatoio di occasioni ed esperienze nuove legate all’otium (da preferire al negotium), riconosciuto solo all’aristocrazia che mollemente si concedeva al riposo nelle ville in campagna o sulla costa tra Pozzuoli, Baia, Bauli, Capo Miseno. E se le tappe del Grand Tour tra il 1500 e il 1800 si irraggiano in rete nell’Europa centrale e mediterranea come viaggio di formazione per i giovani nobili, è la vacanza d’estate in campagna a conferire lustro alle famiglie d’appartenenza (‘700). Soltanto con holiday, passepartout anglosassone, si inaugura la stagione delle nostre vacanze contemporanee inventate negli anni ’20-‘30 del ‘900 (cfr.Orvar Löfgren) a scardinare convenzioni e dettare mode, grazie a frotte di scandinavi, tedeschi ed americani che si crogiolano al sole lungo le coste del Mediterraneo, con pensioni ed alberghi già attrezzati per accogliere il nuovo turismo della classe media.

Italia, Spagna e Grecia le mete preferite per le vacanze. All’indomani del secondo conflitto mondiale, le macerie fisiche e morali lasciavano il posto alla ricostruzione, a un anelito di spensieratezza e alla libertà di movimento favorita da migliori trasporti e viabilità, strade e reti ferroviarie, che non alimentarono solo nuove esigenze da parte dei turisti, ma ne furono anche la conseguenza. Oggi il “turista globale” si affida sempre più spesso a pacchetti organizzati dalle agenzie di viaggio. Nascono i villaggi vacanza, il “tutto compreso” per vendere relax e divertimento, con lo sciame tumultuoso di commenti e impressioni di viaggio personali che rimbalzano dai luoghi più disparati e finiscono nella centrifuga di Internet.

La rivoluzione digitale ingloba queste voci, trasformando le esperienze singole in una sorta di “luogo comune”, che poi (quasi) tutti seguiranno. La chiamano identità collettiva, mah. Di certo, i big data che riescono a indicizzare mettendo ordine a un’infinita successione di testi, comportamenti, suggestioni, trasformano le destinazioni in oggetto della percezione e come tale in un brand (vedasi il mondo del fashion), pur nella iperveloce volubilità dei commenti, tanto che ogni luogo di vacanza viene riconsiderato a misura in cui gli stessi si susseguono. I ricordi personali si mescolano alle immagini collettive: teniamoceli stretti. Il mare luccicante dalla spiaggia, la campagna refrigerante, il tramonto sugli scogli, sono scenari che vengono costantemente evocati, proposti, pubblicizzati da almeno due secoli di storia delle vacanze. Ma non ditelo ai big data. Loro, sotto l’ombrellone non ci vanno.

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