26 Giugno 2025
/ 26.06.2025

Dai vecchi telefoni spunta un micro data center 

La tecnologia digitale costa cara e inquina, ma cambiando abitudini e investendo su nuovi materiali si possono conservare i vantaggi favorendo il recupero e il riciclo

Sessantadue miliardi di chilogrammi. È questa la quantità di rifiuti elettronici che produciamo ogni anno. Un po’ come caricare, giorno dopo giorno, 1,5 milioni di camion pieni di immondizia. I dati, piuttosto allarmanti, arrivano da un rapporto del 2024 elaborato dalle Nazioni Unite, e mettono in evidenza un altro problema: la quantità di e-waste è quasi raddoppiata, e si prevede che, entro il 2030, toccherà gli 82 miliardi di chilogrammi. Ma a essere riciclato sarà solo il 20% del totale, mentre il resto finirà in discariche e causerà inquinamento, con un grande impatto su suolo, acqua e, indirettamente, sulle persone.

Il cuore della questione, però, sta nella complessità dei dispositivi elettronici, assemblati con plastiche termoindurenti, metalli, circuiti, semiconduttori, vetro e resine. Il riciclo comporta uno smontaggio laborioso, una separazione costosa e un consumo energetico elevato. Senza tecnologie adeguate non conviene.

Circuiti autoriparanti e riciclabili: la ricerca americana

Ed è proprio da questo cortocircuito, per rimanere in tema, che nasce l’esperimento innovativo dei ricercatori della Virginia Tech. Michael Barlett e Josh Worch hanno sviluppato una nuova classe di materiali: circuiti elettronici realizzati in combinazione tra un vitrimero – un polimero che può essere rimodellato a caldo – e goccioline di un metallo liquido conduttivo. Il risultato? Un circuito flessibile, resistente e autoriparante. Il funzionamento è piuttosto semplice: sotto stress meccanico (una torsione, un piegamento o un urto) la struttura può deformarsi, riformarsi e continuare a funzionare.

I ricercatori hanno pensato anche al fine vita: basta applicare calore o un trattamento specifico di idrolisi alcalina per smontarlo completamente, recuperando così il metallo liquido, i led e altri elementi costitutivi. E il vantaggio rispetto alle tradizionali schede PCB, printed circuit board, è enorme: le tipiche plastiche termoindurenti non si riciclano, mentre in questo caso, invece, il ciclo di vita può espandersi e, in alcuni casi, diventare persino circolare.

La rivoluzione parte anche dalle scelte individuali

Insomma, quella dei ricercatori americani è una vera e propria rivoluzione. Certo, è ancora in fase sperimentale, ma comunque rappresenta un buon punto di partenza per gestire lo smaltimento dei rifiuti elettronici, i cosiddetti e-waste. Ma la speranza per un futuro più sostenibile sta anche nelle scelte individuali.

In questo senso, un’idea innovativa arriva dall’Estonia, nello specifico dall’Università di Tartu. Quante volte è capitato di cambiare smartphone o tablet non perché non funzionassero più, ma perché desideravamo un modello più recente? Di media, infatti, la sostituzione avviene ogni 2-3 anni, ma questi dispositivi, il più delle volte, funzionano ancora perfettamente.

Invece di finire nel cestino, però, i vecchi telefoni possono diventare dispositivi di calcolo pratici ed economici. Secondo Huber Flores, Ulrich Norbistrath e Zhigang Yin dell’Istituto di Informatica dell’Università di Tartu, i vecchi telefoni, impiegando solo poche risorse, possono avere una nuova vita, ed essere riconvertiti in micro data-center. Si tratterebbe di piccoli server che potrebbero essere impiegati in contesti urbani e non, per raccogliere dati sul posto e risparmiare energia e costi legati al trasporto delle informazioni.

In una fase iniziale del progetto, i ricercatori hanno sostituito le tradizionali batterie degli smartphone con alimentazioni esterne, riducendo il rischio di dispersione di sostanze chimiche nocive nell’ambiente. Un prototipo, questo, che è stato testato con successo anche negli ambienti subacquei.

Insomma, come dice uno dei ricercatori, l’innovazione spesso non comincia con qualcosa di nuovo, ma con un nuovo modo di guardare al vecchio.

Una strada a doppia corsia

Se facciamo un passo indietro e guardiamo all’immagine di insieme, emergono dunque due strategie complementari e sinergiche: da una parte materiali innovativi, sostenibili e riparabili che permettono di estendere e semplificare il ciclo di vita elettronico, senza però compromettere le prestazioni tecnologiche.

Dall’altra, il riuso creativo e funzionale dei dispositivi esistenti, che offre opportunità concrete per le smart city, l’Internet of Things e le attività scientifiche, senza però consumare nuove risorse. E il messaggio è chiaro: non possiamo più permetterci di considerare obsoleti o inutili dispositivi perfettamente funzionanti. Dunque, occorre un cambio culturale, individuale e industriale, verso una mentalità basata su durabilità, riparabilità e circolarità.

In altre parole, l’era dell’elettronica usa e getta deve essere superata. Il vantaggio è per tutti: i consumatori possono investire su dispositivi pensati per essere smontati e riparati; per le aziende e i governi la scommessa è quella di investire su ricerca e design sostenibile, incentivi ai processi di rigenerazione e regole chiare sulla gestione dell’e-waste.

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