15 Luglio 2025
/ 15.07.2025

Dall’abbandono all’uso sociale: la rigenerazione urbana parte dal basso

Le comunità sono il motore del cambiamento. E la rigenerazione urbana partecipata ce lo sta dimostrando: ex caserme, fabbriche, magazzini, vecchie scuole tornano in vita. E a beneficiarne sono le comunità locali

Dare una seconda vita a edifici obsoleti o abbandonati: è questo il principio della rigenerazione urbana. E nelle città italiane sono numerosissimi: ex caserme, fabbriche, magazzini, vecchie scuole e via dicendo. Tutte infrastrutture che rischiano di diventare un centro di degrado. E dunque ecco che entra in gioco la rigenerazione urbana.

Ma attenzione, non si tratta solo di interventi edilizi. Perché al centro di alcuni progetti vincenti c’è un fattore diverso: la partecipazione attiva delle comunità locali.

Lo Scugnizzo di Napoli

Un esempio emblematico di rigenerazione urbana partecipata è quello dello Scugnizzo Liberato, nel cuore del quartiere Materdei di Napoli: qui, l’ex carcere minorile Filangieri, abbandonato da anni, nel 2015 è stato occupato da un gruppo di attivisti, architetti e cittadini che hanno scelto di sottrarre lo spazio al degrado per restituirlo alla collettività.

E il nome scelto, senz’altro, è già una dichiarazione di intenti: “Scugnizzo Liberato”, infatti, rievoca un’infanzia negata, ma, al tempo stesso, la possibilità di una rinascita. Per la realizzazione del progetto, l’edificio è stato riqualificato con lavori collettivi e autofinanziati, e oggi ospita laboratori artistici, attività sportive, aule studio, progetti educativi, orti urbani e iniziative contro la povertà energetica e abitativa. Il tutto viene gestito con un modello orizzontale che promuove la cura reciproca.

Il Leoncavallo di Milano

Spostiamoci ora nel Nord Italia, a Milano, la città simbolo delle trasformazioni urbane. Trasformazioni, queste, che spesso sono frutto di investimenti immobiliari e gentrificazione. Ma, all’interno di questo scenario, c’è un esempio di resistenza e rigenerazione dal basso: il centro sociale Leoncavallo.

Nato nell’ormai lontano 1975 in un capannone abbandonato, è stato sgomberato e rioccupato più volte. Oggi si trova in via Watteau, in una ex area industriale rigenerata dagli stessi attivisti, ma nel corso degli anni Leoncavallo si è trasformato in uno dei principali spazi autogestiti d’Italia, offrendo concerti, mostre, corsi gratuiti, mense per i più bisognosi, ambulatori medici, attività di supporto legale e iniziative ecologiche come orti urbani e pratiche di riciclo.

Anche in questo caso, il cuore del progetto è la partecipazione civica: non ci sono gerarchie, ma assemblee pubbliche, decisioni condivise e un’idea di città come spazio comune. Il Leoncavallo, dunque, ha saputo creare un’alternativa concreata all’abbandono e alla speculazione, e ha dimostrato che anche l’autogestione può produrre inclusione e valore ambientale.

Rigenerare con le persone, non solo per le persone

Questi progetti, come molti altri disseminati nel nostro Paese, dimostrano che rigenerare non significa soltanto ristrutturare edifici, ma ripensare al ruolo delle persone e dello spazio urbano, restituendolo, con dignità, a chi lo vive quotidianamente.

Ma è tutto legale? Spesso queste iniziative nascono in maniera “borderline”, con occupazioni temporanee – come nel caso di Milano e Napoli – o comodati d’uso informali. Ma molte evolvono: in alcuni casi si firmano convenzioni con i Comuni, in altri si creano patti di collaborazione previsti dai regolamenti dei beni comuni. Insomma, in altre parole è la burocrazia che insegue l’innovazione sociale, e non viceversa.

Per cercare di avere un quadro più chiaro di questo fenomeno tanto interessante quanto complesso, nel 2023 il ministero della Cultura ha avviato una mappatura nazionale dei luoghi rigenerati con pratiche partecipate. Il problema? Spesso i bandi pubblici richiedono requisiti incompatibili con la natura orizzontale e spontanea di queste esperienze: come si può certificare un collettivo senza statuto? Come si misura l’impatto sociale di una biblioteca che offre “solo” compagnia a un’azienda del quartiere? Insomma, è complicato.

Però una cosa è certa: in questi contesti, la partecipazione dei cittadini non è un elemento marginale, ma una condizione essenziale per il successo degli interventi urbani. Perché le città non si cambiano (soltanto) con le grandi opere, ma anche con piccoli gesti condivisi.

CONDIVIDI

Continua a leggere