05.05.2024
David di Donatello, vince la realtà contemporanea
La 69a edizione segna la ripresa di un cinema in affanno. Lo fa attraverso lo specchio della memoria, eleggendo protagonista la nostra stessa realtà contemporanea. Così vince la telecamera puntata dall’altra parte, dall’Africa verso l’Europa.
Le sale cominciano a riempirsi: non succedeva da tempo. Il cinema come spazio vitale, anche se accessorio delle nostre giornate, ritorna a impadronirsi dell’immaginario collettivo, perché davanti ad uno schermo bianco che ospita mille storie, è la nostra stessa realtà che prende corpo attraverso la memoria. E la memoria significa vivere le cose una seconda volta. Poi, arriva il David di Donatello, che pur decretando una scala di valori, non sommerge i vincitori di premi in denaro, ma centuplica il successo del film presentato, diventando occasione d’incontro e confronto.
Si sono appena spenti i riflettori sull’ultima edizione, nel mitico Studio 5 di Cinecittà, con la presenza commossa di Vincenzo Mollica (David speciale), memoria storica televisiva di un passato mai passato attraverso i fotogrammi di un cinema sempre vitale. Gara era e gara è stata. Alla fine a vincere è Io capitano di Matteo Garrone che, con le avventure di Seydou e Moussa che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa, conquista ben sette statuette tra cui le due più importanti: miglior film, regia, fotografia, montaggio, suono, produttore ed effetti visivi. Io capitano è la conferma che nel dna artistico del regista, il motivo ispiratore resta l’innata curiosità nei riguardi delle storie della Storia, che viene declinata da una vena fantastica inusuale e nel contempo iperrealista. Il desiderio universale di ricerca della libertà e della felicità innerva un’epica del sogno che mette in scena il coraggio e il dolore, spie sintomatiche (dolenti) da sempre delle migrazioni, in una dimensione di profonda umanità, glissando clichè, pietismo o di risentire in qualche modo quello sguardo coloniale che, per quanto aperti, resta dentro di noi. Il film, interpretato, per toni e accenti accorati, da un magistrale Pierfranceso Favino, sposa (narrandola) la capacità d’ascolto di chi, pur avendo subito soprusi incredibili, mantiene umiltà e capacità di riuscire a vivere senza cadere in atteggiamenti di autocommiserazione, una spinta vitale che li aiuta a superare le prove più indicilbili, nell’offrire forma visiva all’esperienza di questi giovani migranti, dal loro punto di vista, con i loro piccoli momenti di quotidianità e srotolare vicende avendo la telecamera puntata dall’altra parte, dall’Africa verso l’Europa.
Certo, c’è il premio a Elio Germano, miglior attore non protagonista per Palazzina Laf, che si lega alle tematiche drammaticamente attuali del mondo del lavoro dal forte impianto civile che si svolge all’Ilva di Taranto nel 1997, o quello a Marco Bellocchio per “Bene Rapito”, che racconta un episodio del 1858, quando un giovane ebreo di Bologna fu rapito dai soldati papali perché battezzato segretamente dalla balia, che vince i David per scenografia, costumi, sceneggiatura non originale, trucco e acconciatura. Ma il riconoscimento a Paola Cortellesi con C’è ancora domanicome miglior attrice non protagonista, e per il miglior esordio alla regia, nel percorso umiliante di Delia tra botte, insulti, umiliazioni dal marito e perfino dal suocero invalido (dalla lunga mano), nella Roma (livida e insieme speranzosa) della seconda metà degli anni ‘40, costituisce un unicum premiato da consensi e incassi record. Pescato nei racconti dei nonni per raccontare una condizione femminile che è cambiata ma conserva ancora retaggi culturali, pericolosamente insinuanti, ha la forza di cogliere lo spirito del tempo: la forza delle donne di ieri e di oggi.
Credito fotografico: premidavid instagram