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Società

Denatalità, la conseguenza fatale di un sistema disfunzionale

22.08.2023

Casa e incertezze legate al lavoro incidono pesantemente sulle dinamiche di natalità. «…non si può negare che il sistema tiene se le generazioni hanno una continuità». Il tono preoccupato del ministro Giorgetti al Meeting di Rimini dovrebbe allertarci tutti, italiani e europei.

Un anno fa a Venezia venivano denunciati i pericoli del calo demografico come fattore negativo per la tenuta del sistema socio previdenziale. Del dibattito si fece promotrice la Cisl attraverso la Federazione Nazionale Pensionati del Veneto. «Siamo all’inizio della fine della tenuta del sistema previdenziale se non vengono messe ora in atto politiche per la natalità», fu detto, sottolineando che con il trend attuale, nel 2050 il rapporto tra popolazione non attiva e attiva sarà dell’87%: il che significa che ci vorranno 100 persone attive economicamente per sostenerne 87 che non possono esserlo, e cioè 22 bambini e adolescenti 0-14 anni e 65 anziani ultra 65enni. Il problema è che l’equilibrio sta nel 50%.

Nella giornata di apertura del Meeting di Rimini, tra ripetuti richiami alla pace e al valore dell’amicizia, è stato il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, intervenuto a distanza, a ribadire senza mezzi termini che «la natalità è un tema fondamentale, perché nessuna riforma previdenziale può reggere nel medio-lungo periodo con lattuale indice demografico in calo che caratterizza la società italiana». «Lo sviluppo sostenibileha osservato Giorgetti è normalmente declinato sotto laspetto ambientale che è senza dubbio fondamentale, ma non si può negare che il sistema tiene se le generazioni hanno una continuità». Cosicché il processo di denatalità in corso deve preoccuparci perché indebolisce il sistema previdenziale così come è stato concepito come passaggio di testimone e sostegno tra generazioni.

L’aspettativa di vita è in aumento (dai 74,6 anni del 1982 agli 82,1 di oggi); nello stesso periodo, si è registrato sia il calo demografico (da 1,6 a quasi 1,2 figli per donna), sia lo spostamento in avanti dell’età in cui una donna ha il primo figlio (da 25 anni del 1982 ai 31,3 del 2019).

Problema italiano? Niente affatto. Si tratta di un fenomeno comune a tutti i Paesi europei da 40 anni, semmai la differenza è nelle misure che sono state adottate per fare fronte alla flessione della natalità. Gli esperti demografici e di scienze statistiche mettono in campo l’equazione più semplice: per un ricambio generazionale ci vogliono due figli per donna. Ma per ristabilire i rapporti occorrono anche mettere le giovani coppie nelle condizioni di sostenere la genitorialità con strumenti di sostegno e una politica attiva rivolta alla famiglia.

Gli aspetti retributivi e le incertezze legate al lavoro incidono pesantemente sulle dinamiche dei nuclei familiari, senza trascurare il problema della casa, amplificato dal rialzo dei mutui.

In definitiva, al Meeting di Rimini è stato lanciato un messaggio preciso: non ci può essere riforma previdenziale che tenga senza una serie di interventi finalizzati a rendere sostenibile il quadro economico e sociale. Senza trascurare un altro aspetto non di poco conto, che riguarda l’innalzamento dell’età della pensione. Sapere di avere dei nonni non disponibili, e quindi di dover affrontare una serie di costi legati alla gestione dei bambini e una maggior difficoltà a conciliare vita e lavoro, fa rimandare la scelta di avere un figlio a quando i genitori potranno fornire un aiuto.

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