14.02.2025
Ci sono due parole che Trump ripete spesso e che tendono a essere sottovalutate: common sense. Durante il discorso che ha inaugurato la sua seconda presidenza, Trump ha invocato una “rivoluzione del common sense“. Appello che è stato reso in italiano come “rivoluzione del buon senso”. In realtà in questo caso la traduzione autentica è un’altra: “rivoluzione del senso comune”. E tra le due espressioni c’è una differenza determinante.
Il “senso comune” indica un insieme di credenze, idee e conoscenze condivise da una comunità o da una società in un determinato periodo storico. Ad esempio, nel sedicesimo secolo era convinzione diffusa che i bagni caldi fossero pericolosi perché potevano allargare i pori della pelle aprendo la via a morbi esiziali: per il senso comune lavarsi era un’operazione ad alto rischio. E per molti secoli una donna esperta di erbe e capace di usarle per guarire alcune malattie è stata – per il senso comune – una strega, da cui solo un rogo vivace poteva metterci al riparo.
Anche il “buon senso” ha delle oscillazioni, si sedimenta nel tempo. Ma il suo aspetto centrale è la capacità di giudicare in modo equilibrato, razionale e pratico; si basa sul ragionamento e sull’esperienza. Tende a una maggiore stabilità e in alcuni casi collide con il buon senso. Il processo di Norimberga è stato l’affermazione del buon senso contro il senso comune dell’esercito nazista.
Nei periodi più fortunati senso comune e buon senso tendono a sovrapporsi. Oggi viviamo in un’epoca in cui i due concetti tornano a divergere: il common sense invocato da Trump non ha niente a che vedere con il buon senso.
Prese isolatamente le proposte di annettere il Canada, conquistare la Groenlandia e occupare Panama potrebbero sembrare battute provocatorie. Ma la somma fa la differenza. Anche perché nel conto vanno messe la negazione delle conoscenze faticosamente accumulate dalla comunità scientifica (“il riscaldamento climatico è una bufala”); la progressiva limitazione della libertà d’espressione e dei diritti civili (nei siti federali le conclusioni dei climatologi vengono epurate); l’innalzamento della soglia dell’indecenza accettata (la proposta della riviera con gli ombrelloni sopra il cimitero di Gaza). Questo processo, in sé pericoloso, è straordinariamente accelerato dal controllo degli strumenti digitali che plasmano il senso comune con una rapidità, un’efficienza e una radicalità fino a ieri impensabili.
L’enorme quantità di denaro e di potere investiti in questo rimodellamento del senso comune sono impressionanti e potrebbero far pensare che per il buon senso la partita sia persa. Eppure, ci sono due fattori che fanno sperare il contrario. Il primo è che lo stravolgimento del senso comune incontra inevitabilmente una resistenza: la realtà. Se anche negli Stati Uniti l’espressione “cambiamento climatico” venisse bandita – oltre che nei siti federali – anche nelle scuole e negli uffici, i morti per uragani e incendi non diminuirebbero, anzi continuerebbero con ogni probabilità ad aumentare seguendo l’andamento del rischio climatico . Per quanto tempo i cittadini degli States accetteranno di veder crollare la sicurezza delle loro vite e il valore delle loro case lungo la sponda atlantica (per gli uragani) e nei luoghi siccitosi (per gli incendi)?
E poi c’è il secondo fattore: nel mercato globale il vuoto non esiste. Se gli Usa concentreranno le loro risorse sull’economia del secolo scorso, altre potenze economiche occuperanno lo spazio in cui si forniscono servizi e beni desiderabili in un mondo in cui la sicurezza climatica diminuisce e quella sanitaria potrebbe crollare assieme alle istituzioni che hanno fatto finora da baluardo come l’Oms boicottato da Trump.
Alla fine, il buon senso prevarrà. Se gli diamo una mano.