Nel 2015 l’Italia ha compiuto un balzo in avanti nella lotta per l’ambiente, colmando un vuoto legislativo che per decenni ha reso l’inquinamento un crimine spesso senza colpevoli. L’introduzione dei delitti ambientali nel Codice penale con la legge 68/2015 ha rappresentato un cambio di paradigma: da allora, l’ambiente ha ottenuto piena cittadinanza nel diritto penale. Oggi, a dieci anni da quella svolta, il bilancio tracciato da Legambiente e Libera parla chiaro: la riforma funziona. Ma il cammino non è finito.
I numeri
Tra giugno 2015 e dicembre 2024 sono stati accertati in Italia 6.979 reati ambientali, una media impressionante di uno ogni tre controlli. Le ispezioni sono state oltre 21 mila, con 12.510 persone denunciate, 556 arresti e sequestri per un valore di 1,15 miliardi di euro. Numeri che raccontano un’attività repressiva intensa, capace di mettere finalmente in difficoltà chi per anni ha fatto affari sulla pelle dei territori.
Il reato più contestato è quello di inquinamento ambientale, che prima del 2015 nemmeno esisteva. Seguono il traffico illecito di rifiuti, spesso gestito in maniera sistematica da organizzazioni criminali, e il disastro ambientale, utilizzato nei casi più gravi. Ma nella nuova grammatica del diritto penale ambientale trovano spazio anche delitti colposi, impedimenti ai controlli, omesse bonifiche e persino lesioni o decessi causati da inquinamento.
Le aree più colpite e il ruolo dell’ecomafia
La Campania è la regione con il maggior numero di reati ambientali accertati (1.440), ma l’ecomafia non conosce confini geografici. Sardegna, Puglia, Sicilia e persino il Trentino-Alto Adige – da sempre percepito come regione virtuosa – figurano ai vertici di una classifica che disegna una mappa inquietante della vulnerabilità ambientale italiana.
Preoccupante anche la concentrazione del 40,5% degli illeciti nelle regioni a presenza mafiosa consolidata. Non è un caso: per le organizzazioni criminali, la gestione illegale dei rifiuti, le discariche abusive e le costruzioni fuorilegge sono affari redditizi e a basso rischio. O almeno lo erano prima dell’entrata in vigore della legge 68.
Strumenti nuovi, risultati concreti
Uno degli aspetti più innovativi della legge è la riforma delle sanzioni prevista dal Testo unico ambientale, che ha permesso di snellire i procedimenti e di incassare oltre 33 milioni di euro in sei anni. Fondi che sono stati reinvestiti nel rafforzamento delle attività di controllo svolte dalle Agenzie regionali per l’ambiente. In totale, sono state impartite più di 8.000 prescrizioni, con un’altissima percentuale di adempimenti completati: un segnale che, quando la legge è chiara e l’azione dello Stato efficace, anche chi inquina preferisce mettersi in regola.
Il 16 e 17 maggio a Roma, alla conferenza nazionale ControEcomafie, Legambiente e Libera presenteranno il Manifesto 2025, una piattaforma di proposte legislative e impegni operativi per rilanciare la lotta alla criminalità ambientale. Tra le priorità: recepire la nuova direttiva UE sulla tutela penale dell’ambiente e aggiornare la normativa alle nuove forme di reato, sempre più complesse e camuffate da legalità.