14.02.2024
Sempre in aumento le vittime del fenomeno Deepfake. Dall’autodenuncia del regista Jordan Peel a danni di Trump qualche anno fa, alla truffa milionaria che ha ingannato il dipendente finanziario a Hong Kong, alle false foto nude di Taylor Swift, il fenomeno si estende a dismisura per diventare tristemente una realtà senza contromisura.
Quando Barack Obama comparve in un video dicendo che Donald Trump era un «perfetto idiota», non è che non lo pensasse (almeno pubblicamente), ma non era lui. Il tutto è ancora presente su YouTube, e non era altro che opera del regista e sceneggiatore Jordan Peel, autore di un chiaro (e autodenunciato) esempio di deepfake, ovvero per la tecnica basata sull’intelligenza artificiale per combinare e sovrapporre immagini e video originali tramite una tecnica di apprendimento automatico. Peel è anche un comico, ma in quel caso non voleva farci ridere. Anzi, quel discorso dell’ex presidente degli Stati Uniti voleva già cinque anni fa mettere in guardia su come le informazioni potessero essere manipolate grazie alla tecnologia. Perché, tra l’altro, già allora non era il primo del suo genere. L’intelligenza artificiale è insomma anche questo, l’altra faccia di uno strumento talmente potente da far compiere all’umanità un salto in avanti quantico, ma anche capace di distruggerlo con il solo uso di qualche software. Il discorso è attuale e ne abbiamo già parlato in questa sede, ma l’ultima notizia che arriva dall’Asia dimostra ancora una volta che dal dibattito su vantaggi e rischi dell’AI non si è ancora passati a un serio esame delle contromisure.
Così ecco che a Hong Kong un dipendente del settore finanziario è stato indotto a pagare 20 milioni di sterline a dei truffatori grazie a una videochiamata deepfake, nella quale sono comparse copie perfette suoi colleghi. Grazie a un software di intelligenza artificiale, i sosia digitali dell’azienda – compreso il direttore finanziario in collegamento dal Regno Unito – hanno convinto dunque il povero dipendente a compiere l’operazione milionaria, mettendo così la somma sul conto corrente dei criminali. Si tratta di una delle più grandi truffe finanziarie di questo tipo, e contro un’istituzione bancaria che dovrebbe avere tutte le armi possibili per scongiurare episodi del genere. Eppure, il dipendente ha trasferito il denaro in 15 transazioni su cinque conti bancari, e quando a un certo punto si è insospettito per una strana e-mail che sembrava provenire dal suo direttore finanziario, si è rassicurato dopo aver ricevuto la videochiamata con i colleghi taroccati.
La disavventura di Hong Kong non è di certo la prima: videochiamate del genere sono già state utilizzate in passato nelle truffe finanziarie, ma mai nelle comunicazioni di gruppo. E il deepfake è, ormai, tristemente una realtà: perfino il premier inglese Rishi Sunak ha prestato, inconsciamente, la sua immagine su Facebook per inserzioni pubblicitarie, così come è noto il recente caso della cantante americana Taylor Swift, finita sul web come mamma l’ha fatta senza però mai essersi spogliata.
Contromisure? Ancora nessuna ufficiale, se non quella di farsi venire mille dubbi e poi magari restarci. Ma soprattutto, soldi a parte, immaginare un video di Trump e chiedersi se davvero dobbiamo credere a quello che dice. Perché a volte, tra quello vero e un deepfake, non sapremmo distinguerli.