21 Novembre 2024
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Cronaca, Esteri

Dove ci porteranno le decapitazioni di Israele, dopo Sinwar?

19.10.2024

Sorgono infinite interpretazioni e domande senza risposta sull’uccisione del capo politico di Hamas. Resta centrale chiedersi se basterà l’eliminazione dei vertici per dichiarare raggiunti gli scopi della guerra e portare a una tregua, o nella mente di Netanyahu esiste altro. Le analisi.

Yahya Sinwar, il capo politico di Hamas, è solo l’ultimo dei vertici delle organizzazioni terroristiche filoiraniane eliminati dalle forze armate israeliane. Nelle ultime settimane lo avevano preceduto il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah; Fatah Sharif, il capo di Hamas in Libano; Ali Karaki e Nabil Kaouk, rispettivamente capo militare e membro del comitato centrale di Hezbollah, e altri ancora, sconosciuti all’opinione pubblica, ma importanti perché responsabili dei droni, delle forze speciali, persino dell’attacco all’ambasciata americana a Beirut nel 1983. Game over?

Non c’è dubbio che i colpi assestati da Israele nelle ultime settimane ai propri avversari siano un successo in senso militare e politico. Così spettacolare che qualcuno, con malizia eccessiva, si è spinto a chiedere se non sarebbe stato possibile farlo prima. Al risultato ha di certo contribuito l’intelligence statunitense, come ha rivendicato Joe Biden nella prima riga del messaggio sulla morte di Sinwar. Tutto questo è vero, ma anche irrilevante. La vera domanda non riguarda né il “cosané il “come”, ma piuttosto il “quando”, almeno nel senso di “che cosa succederà adesso?”. La decapitazione dei vertici basterà per dichiarare raggiunti gli scopi della guerra e portare a una tregua? Hamas e Hezbollah riusciranno a ricostruire le proprie organizzazioni? Lo Stato libanese, nella misura in cui esiste, saprà riprendere il controllo della propria fascia meridionale? Chi riempirà il vuoto lasciato in termini di controllo territoriale? Sarà possibile ricostruire una struttura sociale a Gaza senza pagare dazio a Hamas?

Le risposte variano con gli attori. Gli USA, per bocca di Biden, hanno detto che la morte di Sinwar riapre le prospettive per ridisegnare il futuro della regione. L’Iran ha ribadito che morto un leader se ne farà un altro. E Netanyahu ha detto che la guerra continuerà fino al raggiungimento degli obbiettivi. Almeno in pubblico, le posizioni non sono cambiate granché.

Dietro le quinte, è verosimile che aumenti la pressione su Israele per una qualche tregua o armistizio. I Paesi arabi circostanti, compresa l’Arabia Saudita, sono soddisfattissimi per la distruzione pressoché completa della minaccia sciita sulla riva sud-est del Mediterraneo. Gli USA hanno usato per la prima volta i bombardieri strategici B-2 contro gli Houthi nello Yemen, con il doppio scopo di proteggere il traffico marittimo per Bab el Mandeb e eliminare un insidioso punto di lancio missilistico contro Israele. Potrebbe dunque esserci la base per un accordo regionale, nel quale la tregua consenta ai Paesi arabi sciiti di contribuire – in modo discreto – alla sicurezza di Israele.

Arabia Saudita e Giordania lo hanno già fatto in occasione degli attacchi missilistici iraniani (e delle risposte israeliane), cosa che potrebbe rendere più credibile una eventuale offerta. Riyadh potrebbe riprendere il cammino verso gli Accordi di Abramo. Lo scenario opposto vede l’Iran riprendere gli attacchi, costringendo i moderati a schierarsi contro Teheran, che risponde mobilitando contro di loro l’opinione pubblica dei loro stessi. La nuova leadership di Hamas e Hezbollah riprendere gli attacchi contro Israele, in coordinamento sempre più esplicito con gli ayatollah. Su questi due poli incideranno le elezioni presidenziali in USA e la situazione interna in Israele, dove la fine delle ostilità potrebbe portare alla caduta di Netanyahu e a nuove elezioni. La domanda sul dopo Sinwar resta insomma apertissima.

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