Belém – capitale dello Stato brasiliano del Parà – sarà la seconda città più calda al mondo entro il 2050. Lo certificano i dati diffusi dalla Ong californiana CarbonPlan, che analizza le conseguenze climatiche sulla base dei dati scientifici disponibili. Proprio a Belém, dal 10 al 21 novembre prossimi, si svolgerà la Cop30, la 30esima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la prima sul suolo amazzonico.
Un appuntamento sul quale gli ambientalisti hanno acceso da tempo i riflettori. Tra le tante polemiche che stanno accompagnando le tappe di avvicinamento all’evento, forse la più conosciuta è quella relativa all’avvio della costruzione di un’autostrada di 13 chilometri che attraversa la foresta amazzonica con l’obiettivo di migliorare il collegamento proprio con Belém.
Il progetto, definito dal governo di Lula come “un’autostrada sostenibile”, ha scatenato accese polemiche con gli ambientalisti, che denunciano il notevole impatto ambientale dell’infrastruttura che attraverserà un’area protetta. Oltre al valore ambientale, queste terre hanno un significato storico per la popolazione indigena Tupinambá e, di fronte alle critiche degli ambientalisti, il governo Lula afferma adesso che non si tratta di un progetto legato alla Cop anche se prevede di completarlo appena un mese prima del vertice.
Non si tratta dell’unica contraddizione in cui incorre il governo progressista di Lula che a livello internazionale ha assunto una leadership in materia di lotta al cambiamento climatico. Gli ambientalisti criticano duramente infatti anche la sua scelta di avanzare con le esplorazioni petrolifere del gigante statale Petrobras alle foci del Rio delle Amazzoni. Il tutto dopo che il 2024 è stato l’anno durante il quale la foresta amazzonica brasiliana ha subito il maggior numero di incendi degli ultimi 17 anni. Secondo l’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (Inpe) ne sono stati rilevati attraverso immagini satellitari 140.328, il 42% in più rispetto ai 98.634 del 2023. L’anno scorso, spesse colonne di fumo hanno coperto alcune grandi città, tra cui Brasilia, Rio de Janeiro e San Paolo, causando un soffocante inquinamento che è durato per diverse settimane.
Poche speranze
Juscélio Mendonça, coordinatore dei progetti sociali del Centro Alternativo di Cultura (Cac), opera di promozione della giustizia socio-ambientale fondata 33 anni fa a Belém dai gesuiti del Brasile, rivela: “Qui non si guarda alla Cop con grande speranza, visti in particolare i risultati delle precedenti esperienze, specie delle ultime due. Continuano a parlare sempre i grandi capi di Stato e di governo, tra l’altro soprattutto quelli che sono i maggiori responsabili dei cambiamenti climatici, e ciò che notiamo è che nessuno Stato si assume la responsabilità dei grandi mutamenti del clima. Non si danno fondi, non c’è un reale impegno, soprattutto per un cambio di mentalità”.
La rete del Cac – sostenuto dalla Fondazione Magis Ets, opera missionaria della Provincia euro-mediterranea dei gesuiti -, si sviluppa, oltre che a Belém, in altri tre luoghi del Parà: Colares e Barcarena, due isole che si trovano di fronte alla capitale, e Ananindeua. Le aree interessate sono le periferie di quelle città, dove vivono le persone più vulnerabili, e a beneficiarie sono le popolazioni Ribeirinhas – quelle rivierasche, che lungo i fiumi vivono soprattutto di pesca – e Chilombola, le comunità afro-discendenti, qui molto diffuse.
Parliamo noi
Proprio in vista della Cop30, il Cac intende denunciare e far sentire le voci di bambini, adolescenti e donne, principali vittime delle minacce legate all’espansione dell’agricoltura intensiva, all’allevamento dei bovini, all’estrazione mineraria, alla deforestazione e alle centrali idroelettriche. L’intento è quello di presentarsi come soggetti attivi all’appuntamento della Conferenza per il clima: si contribuirà in questo modo a garantire che tutte le voci dei popoli amazzonici siano ascoltate.
“Uno dei rischi della prossima Cop di Belém è che l’Amazzonia sia vista solo come uno scenario esotico – avverte Mendonça – e non si guardi invece alle corresponsabilità proprio in Amazzonia per ciò che riguarda la crisi climatica. E lì ci possono davvero essere delle risposte. Finché non si considera anche il nostro modo di guardare la problematica, finché non si parte da quelli che sono i più colpiti, le donne, i bambini, i più vulnerabili, che sono quelli che soffrono il maggior impatto dei mutamenti climatici, finché non si mettono loro al centro, in realtà non si affronterà mai la vera questione”.
Mendonça ricorda che “la foresta tropicale, il ‘polmone del mondo’, fino ad oggi è stata accudita dalle popolazioni indigene che hanno appreso nei millenni a prendersene cura, a saper vivere in connessione con la foresta. È il popolo indigeno amazzonico che sa come vivere dei frutti dell’Amazzonia senza però distruggerla”. Una mano l’aveva tesa nei primi giorni di marzo lo stesso presidente della Cop30, l’ambasciatore brasiliano André Corrêa do Lago, che in una lettera aperta, divulgata ai Paesi firmatari della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici aveva criticato il “negazionismo” mettendo in guardia dal rischio di una “catastrofe”.
“Accettando la realtà e combattendo il catastrofismo, il cinismo e il negazionismo, la Cop30 deve essere il momento della speranza e delle possibilità attraverso l’azione, non della paralisi e della frammentazione”, si legge nel testo firmato dal diplomatico, che è segretario per Clima, energia e ambiente presso il Ministero degli Esteri.