23.01.2025
Nei ruggenti anni ’20, partendo alla ventura dalla natìa Magenta, era nata la storia di un grande violinista italiano e di un uomo speciale. Eclettico, cosmopolita, poliglotta, famosissimo testimone di eventi storici epocali, al centro di amicizie eccezionali.
A Joseph de Maistre era sufficiente una stanza per viaggiare, a Emilio Colombo (1874) non bastava il mondo intero. Ecco perché nella nostra società succube d’una euforia mediatica appiattente, una storia come la sua appare fiabesca, pur nella contestualizzazione di tempi ingialliti dai ricordi passati. E oggi che il mondo viene a trovarci a domicilio, appare inconsueto, ma allo stesso tempo elettrizzante, immergersi nel romanzo della vita di un musicista dei primi anni del ‘900, e leggere insieme lo spartito di una sinfonia che si trasfonde in un libro da sfogliare per penetrare la storia di un cammino diventato viaggio di formazione, passione e ardimento.
Partendo, a ritroso, dalla notizia della sua scomparsa (a 63 anni, al May Fair Hotel londinese) apparsa sul New York Times, il 25 novembre 1937, che ne sottolineava la valenza di grande interprete “come violinista dello Zar e uno dei più popolari leader di bande musicali da ballo a Londra”, attraverso un sapiente (e paziente) percorso di ricostruzione tra documenti, manoscritti, lettere, cartoline, foto d’epoca, fonti giornalistiche, si ricompone il puzzle degli episodi salienti, di chi, partito dagli sterrati polverosi e dalle ristrettezze di una provincia povera, come la sua Magenta contadina degli inizi del secolo scorso, aveva deciso di girare il mondo, assecondando l’amore primigenio per la musica trasfuso dalla sua stessa famiglia (il padre con l’agenzia musicale, le sorelle che suonavano strumenti a corde pizzicate). Sì, lui, “Emilio Colombo. Come uno zingaro… il mio violino e la musica in tasca” è la traccia di un coraggio alato che vola sulle note di un pentagramma, pronto a sfiorare (narrandola) una vita appassionante nelle pagine di un prezioso libro (orlato di Rosso Magenta) firmato da Anna Maria Burresi, Franca Galeazzi, Carla Salvadori.
Sotto l’egida propulsiva di Antonella Piras, Presidente dell’Associazione Totem, la Tribù delle Arti, dell’Amministrazione Comunale (sindaco Luca Del Gobbo), ben dentro quel solco della prestigiosa tradizione musicale e violinistica magentina, pronuba di stagioni concertistiche nello scrigno (da 120 anni) del Teatro Lirico, di corsi di perfezionamento per i giovani musicisti e di un prossimo Concorso Violinistico Internazionale, vero trampolino per chi vuol diventare concertista ma anche imprenditore di se stesso. Avendo come incipit proprio Emilio Colombo, vivace, gioviale, eclettico, talento straordinario, protagonista ovunque, capace d’entrare in sintonia con qualsiasi pubblico nel proporre un repertorio classico, cioè alto, ed uno popolare tzigano, retaggio della frequentazione di villaggi zingari nella sua amata Russia, fino a diventare violinista solista alla corte dei Romanov dello Zar Nicola II. Per poi, accogliere una lettera ammirata da parte Petr Il’ič Čajkovskij (Tchaikovsky) che lo convince a perfezionare gli studi musicali a Bruxelles: lì, si diploma, vince il concorso con il Concerto n.1 di Paganini, traducendo, attraverso la musica (come Petr), in gesti immediatamente comunicativi gli stati emotivi e psicologici. L’amata moglie, Elena Stoppa (poliglotta anch’essa), diventa l’io narrante: insieme, stanchi, scoraggiati, senza soldi, sul treno della Transiberiana diretti a Vladivostok inseguono un credito da riscuotere per dei concerti, lasciandosi alle spalle Pietroburgo e la morsa della Rivoluzione d’ottobre, 1917.
Ma Emilio ha la forza di suonare, sul treno, per soldati feriti e borghesi in fuga, poco prima d’imbarcarsi per il Giappone con la sua band. Nel 1920 è a Londra, la sua casa per tre lustri: l’Italian Roof Garden al Criterion lo accoglie, la critica lo esalta, incide dischi, ripropone le melodie gipsy russe, valzer viennesi, sviluppa un fiuto imprenditoriale, e Re Giorgio VI e la Regina Elisabetta (ancora Duchi di York) apprezzano entusiasti le sue esibizioni, con la Regina Vittoria che chiede: «Where is, Emilio?, chiamatelo!». Le tournèe incalzano: Estremo Oriente, Indie Olandesi, America. Successi, ovunque. Ma Il ritorno alle radici, nella sua villa a Magenta, rinsalda la memoria che integra e congiunge immagini distanti. Il dialetto riaffiora, come i ricordi delle carrozze d’estate e la slitta d’inverno a Novaia Derevnia, lì a Pietroburgo, tra la neve sotto un cielo di stelle, mentre accarezza il suo amato violino. La musica rimane in tasca.