16.01.2025
Nuovi LEA aggiornano le prestazioni sanitarie per l’endometriosi. La disinformazione sostiene che da adesso in poi tutte le donne affette dal “disturbo” potranno usufruire di visite e cure gratuite. In realtà mancano cure nutrizionali, risonanza magnetica, riabilitazione del pavimento pelvico. L’Intervista.
Da quest’anno saranno erogati i nuovi LEA, i livelli essenziali di assistenza sanitaria, varati con Dpcm 2017 che, per la cura dell’endometriosi, aveva rappresentato un importante traguardo, perché con esso la malattia (negli stadi più avanzati) veniva finalmente riconosciuta tra le “malattie croniche e invalidanti”. I nuovi LEA aggiornano (in minima parte) anche le prestazioni sanitarie per l’endometriosi. C’è stata, però, molta disinformazione su questa cosa: mediaticamente è emerso che da adesso in poi tutte le donne affette da endometriosi potranno usufruire di visite e cure gratuite. E se così fosse, sarebbe una novità davvero rilevante, perché ancora oggi l’endometriosi è una delle patologie femminili più difficili da affrontare e ancora socialmente poco nota.
Tuttavia, i nuovi LEA non stanno introducendo davvero tutte le prestazioni gratuite in tutti i casi, ma solo in alcuni casi specifici e solo per una parte delle donne affette dalla malattia. Ed è importante fare chiarezza, perché l’endometriosi colpisce il 10-15% della popolazione femminile in età fertile, ha un grande impatto sulla qualità di vita delle donne che ne soffrono, in termini fisici e psicosociali, causa subfertilità o infertilità. La sua diagnosi è spesso tardiva e non ci sono sufficienti spazi ospedalieri e personale sanitario adeguatamente formato, in grado di dare supporto alle pazienti. Sulla questione è intervenuta pubblicamente in questi giorni Annalisa Frassineti, Presidente di A.P.E., Associazione Progetto Endometriosi, che, insieme a medici specializzati attua corsi di formazione e progetti di sensibilizzazione. A ultimabozza, Frassineti dichiara che «avere accesso gratuito a determinate prestazioni è importante, ma è sbagliata l’informazione che sta passando in questi giorni. Dire che le cure per l’endometriosi saranno gratis da adesso in poi significare dare false speranze a tutte le donne che hanno o sospettano di avere la malattia».
Dalle esenzioni previste dai nuovi LEA restano escluse tutte le pazienti che rientrano nel primo e secondo stadio di endometriosi – che, per altro, sono stadiazioni ormai superate, dal momento che la malattia si sviluppa in modo molto soggettivo – o tutte coloro che, pur rientrando negli stadi più gravi, non hanno svolto un esame istologico, quindi un intervento chirurgico, perché stanno seguendo un altro trattamento. Le prestazioni riconosciute sono comunque insufficienti, «mancano cure nutrizionali, la risonanza magnetica, la riabilitazione del pavimento pelvico», che restano a carico delle pazienti e richiedono costi molto elevati (migliaia di euro all’anno). Sono ancora poche le regioni in Italia – l’Emilia-Romagna, la Sicilia, il Piemonte, ad esempio – in cui ci sono PDTA (Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali) e medici specializzati sulla patologia, e questi non possono coprire tutte le richieste presenti nel territorio nazionale. A questo si lega l’aspetto forse più complesso: il percorso diagnostico. Come documenta un recente studio dell’Istituto Superiore di Sanità, «prima di arrivare ad una corretta diagnosi passano in media dai 7 ai 10 anni dalla comparsa dei primi segnali». Lo studio fornisce i dati sulle ospedalizzazioni in Italia per endometriosi: tra il 2011 e il 2020, oltre 134 mila donne tra 15 e 50 anni sono state ricoverate almeno una volta per endometriosi in ospedale.
«La ricerca sulla malattia in Italia sta progredendo molto, ma si sa ancora poco. Se la malattia non si conosce, si fa fatica a diagnosticare» conclude Frassineti, «ed è solo investendo nella salute che si possono ridurre i costi sociali ed economici».