27.06.2024
In difficoltà per un sistema di impiego e reclutamento tutto da rivedere: modalità di inviare candidature esasperanti e demotivanti, il 20,2% dei laureati under 35 sotto pagato e lavora con un contratto atipico, giovani che si spendono in settori non in linea con la loro qualifica. Approfondimento e dettagli.
Trovare lavoro oggi non è più come un tempo. Non solo per le opportunità, ma anche per le modalità. Perché trovare lavoro – e trovare lavoratori – è diventato macchinoso, una corsa a ostacoli sempre più competitiva con barriere che si ergono tra candidati e opportunità, creando una situazione frustrante per entrambe le parti.
Inviare una candidatura richiede tempo e impegno: compilare moduli online, scrivere lettere di motivazione e presentazioni, superare test attitudinali o colloqui di gruppo. Insomma, il classico CV non basta più, e non bastano più nemmeno gli incontri conoscitivi. Inoltre, piattaforme come LinkedIn, che sono sì utili per la ricerca di lavoro, richiedono spesso un abbonamento premium per sfruttare appieno le sue funzionalità, il che costituisce un costo aggiuntivo per i candidati. Tradotto in altri termini, se vuoi cercare opportunità migliori devi pagare.
A rendere queste procedure ancora più demotivanti, c’è il numero di candidature sempre in aumento. Dopo la pandemia, infatti, si è registrato il fenomeno delle grandi dimissioni, con moltissime persone che hanno deciso di lasciare il proprio impiego per andare alla ricerca di un’occupazione con migliori condizioni o maggiore flessibilità: secondo l’INPS, nel 2022 ci sono state oltre 1,1 milioni di dimissioni volontarie, con un aumento del 26% rispetto al periodo pre-pandemia. In questo scenario, i giovani sono più penalizzati. Spesso laureati, si trovano a confrontarsi con lavori sottopagati e non in linea con il loro titolo di studio, in una situazione di precarietà che limita le loro aspettative e il loro futuro.
In particolare, secondo il Rapporto Almalaurea 2023, il 20,2% dei laureati under 35 lavora con un contratto atipico (co.co. pro, stage, apprendistato, ecc.), e tra questi oltre il 42% ha un reddito mensile inferiore a 1000 euro. Ancora, un’indagine di Excelsior del 2022 evidenzia che il 31,5% dei laureati italiani under 35 è inoccupato o lavora in una posizione non coerente con il proprio titolo di studio, e tra questi oltre il 50% ha un contratto atipico. Una dinamica, questa, che rischia di creare un meccanismo che va in cortocircuito: i giovani si spendono in settori non in linea con la loro qualifica non riuscendo a coltivare esperienza nel loro ambito professionale. A conti fatti, dunque, non solo è difficile trovare un’occupazione, ma è anche difficile la ricerca dell’occupazione stessa. E quando si trova, spesso, è al disotto delle proprie aspettative, salariali e professionali. Le conseguenze di questo fenomeno sono pesanti e impattanti: demotivazione e frustrazione sono alle stelle, soprattutto tra i più giovani, e molti vorrebbero o cercano opportunità migliori all’estero, con la cosiddetta “fuga di cervelli” che impoverisce l’economia del Paese.
Ma il nostro è un Paese che non sembra voler agevolare i suoi cittadini nella ricerca del lavoro, e non vuole agevolare le sue imprese nella ricerca dei lavoratori. Soprattutto se giovani. Imprese e lavoratori.