Il caldo estremo è ormai un appuntamento fisso delle estati europee. E dunque alle varie classifiche dei danni prodotti dall’inquinamento si aggiunge quella delle vittime delle ondate di calore. Contiamo i morti e, nelle città più avanzate, proviamo ad adattare l’ambiente urbano per contenere l’aggressione termica. Ma la chiusura del rubinetto delle sostanze che minano il clima e minacciano la nostra sopravvivenza viene continuamente rimandata: la concentrazione di CO2 continua a crescere perché perfino quando una guerra ci costringe a rompere gli accordi commerciali con un fornitore di gas e petrolio, ne cerchiamo subito un altro. Le fonti rinnovabili e l’efficienza sono ormai un’alternativa economica conveniente ma troppo poco praticata nella maggior parte dei Paesi.
Un nuovo studio realizzato dall’Imperial College London e dalla London School of Hygiene & Tropical Medicine, pubblicato oggi, stima che tra giugno e agosto 2025 in oltre 800 città del continente ci siano stati 24.400 decessi in eccesso legati alle temperature elevate. La parte più allarmante riguarda l’attribuzione: il 68% di queste morti, pari a 16.500 persone, non ci sarebbe stato senza l’aumento delle temperature globali provocato dalle attività umane e in particolare dalla combustione di carbone, petrolio e gas.
Il dato conferma che la crisi climatica non è una minaccia futura, ma un pericolo per la nostra vita quotidianità. Se in passato le ondate di calore venivano considerate un fenomeno meteorologico passeggero, oggi sappiamo che dietro ai picchi termici si nasconde una responsabilità precisa: l’accumulo di gas serra che ha trasformato il nostro clima.
L’Italia in prima linea
Il quadro diventa ancora più inquietante se si guarda all’Italia. Il nostro Paese si conferma uno degli epicentri della crisi climatica nel Mediterraneo. Milano guida la classifica europea delle città con più morti attribuibili al cambiamento climatico: 1.156 in appena tre mesi. Subito dietro Roma, con 835 decessi. Ma l’impatto non si ferma qui: anche Napoli e Torino entrano nella top ten europea, a dimostrazione di come le aree urbane italiane siano particolarmente esposte.
L’Italia, ricordano i ricercatori, è collocata in una delle regioni più vulnerabili al riscaldamento del pianeta. Il Mediterraneo si scalda a una velocità superiore alla media globale e le città italiane, densamente popolate e spesso caratterizzate da scarsa ventilazione e forte cementificazione, diventano moltiplicatori di calore. Gli effetti delle ondate di calore colpiscono soprattutto anziani, persone fragili, lavoratori esposti e chi vive in condizioni di marginalità. Aumentano i ricoveri per colpi di calore, problemi cardiovascolari e respiratori, cresce il rischio di morte prematura.
“Quella che stiamo vivendo – osserva Greenpeace Italia – non è solo una crisi climatica, ma anche una crisi sanitaria e sociale”. Federico Spadini, della Campagna clima, aggiunge: “Continuare a estrarre e bruciare gas e petrolio, fornire sussidi al settore fossile e sostenere le grandi aziende inquinanti ci ha portato a questa situazione, che oggi è anche una questione di salute pubblica. Non possiamo più ignorarlo”.
I costi economici del caldo
Alle vittime umane si sommano i costi economici. L’estate 2025, secondo uno studio presentato nei giorni scorsi https://ultimabozza.it/unestate-che-costa-43-miliardi-il-conto-salato-del-clima-estremo-in-europa/ , ha già comportato perdite macroeconomiche nell’ordine di decine di miliardi di euro per l’Unione europea, destinate a triplicare nei prossimi anni. Il sistema sanitario è sotto pressione, mentre la produttività cala per malattie, assenze dal lavoro e difficoltà operative nei settori più esposti, dall’agricoltura all’edilizia. Per l’Italia, dove intere filiere dipendono dal lavoro all’aperto, la crisi climatica rischia di diventare un fattore destabilizzante anche per l’economia, oltre che per la salute.
Nonostante i segnali sempre più drammatici, Greenpeace denuncia la lentezza delle risposte politiche. La transizione energetica resta ostacolata da investimenti e sussidi alle fonti fossili. “Per mettere un freno alla crisi climatica – sottolinea Spadini – servono misure coraggiose. L’Europa e l’Italia rischiano di arrivare del tutto impreparate e senza impegni ambiziosi alla COP30 in Brasile, a dieci anni dall’Accordo di Parigi”.
La richiesta dell’associazione è: stop a nuovi progetti di estrazione e infrastrutture fossili, spostamento delle risorse pubbliche verso le energie rinnovabili e l’efficienza energetica. Solo così, sostengono gli ambientalisti, sarà possibile ridurre le emissioni e salvaguardare la salute dei cittadini. Per sostenere questa richiesta, Greenpeace ha lanciato una petizione che chiede al governo italiano e agli altri governi europei di bloccare ogni nuovo investimento nel settore fossile e destinare i fondi a una reale transizione verde.