26.04.2024
Da Venaria Reale, a maggio, partirà il festival delle due ruote, divenuto Pogacar-dipendente. Quanto sono lontani i tempi di Grand’Italia che saliva al Nord a gonfiare il petto di generazioni di discendenti migranti. Lo sport, si sa, non riesce a ripulirsi dall’interno. Sguardo panoramico.
Un bliz di pochi giorni sulle Ardenne ci ha fatto toccare direttamente con mano quanto si sia drammaticamente ristretto il ciclismo italiano al cospetto delle multinazionali straniere pilotate da Tadej Pogacar, Mathieu Van der Poel e – nella circostanza – dagli orfani di Jonas Vingegaard, Wout Van Aert, Primoz, Roglic e Remco Evenepoel (tutti ai box a curare le ferite e le fratture rimediate all’inizio della loro disastrosa primavera). Quanto sono lontani i tempi di Grand’Italia che saliva al Nord a gonfiare il petto di generazioni di discendenti di migranti divenuti forze attive di Belgio, Francia, Olanda e Lussemburgo. Settant’anni fa toccò a Fausto Coppi e Fiorenzo Magni. Sessant’anni fa a Carmine Preziosi. Poi vennero le decadi segnate da Felice Gimondi, Francesco Moser, Giuseppe Saronni, Moreno Argentin, Michele Bartoli, Paolo Bettini, Davide Rebellin e persino Danilo Di Luca. Ora il nulla, o quasi. Corridori e squadre tricolori sono ai margini del movimento mondiale o addirittura inesistenti. Tristezza assoluta. Figli di un dio minore.
All’ombra di Pogacar, che con la Liegi-Bastogne-Liegi 2024 (edizione 110) ha infilato la sesta perla delle classiche monumentali con il volo spiccato dalla Redoute e anticipando Ronan Bardet e lo sprint di Mathieu Van der Poel, si è consumato l’ennesimo tracollo del verde-bianco-rosso: nessuna bandiera italiana, nessun atleta fermato per un autografo. Niente di niente. E dietro l’angolo c’è il Giro d’Italia, che Pogacar ha nel mirino come primo atto di un’accoppiata col Tour de France (che per la prima volta partirà dalla Penisola, a fine giugno a Firenze) che nella storia delle due ruote muscolari è riuscita soltanto a Fausto Coppi (2 volte), Jacques Anquetil, Eddy Merckx (3), Bernard Hinault (2), Stephen Roche, Miguel Indurain (2) e Marco Pantani.
L’ultimo uno-due è stato firmato dal Pirata nel 1998: maglia rosa al Giro e maglia gialla al Tour tradito dagli spagnoli e dai malavitosi dello sport. Considerati partecipazione, incidenti, stato di forma e esperienze maturate, davvero non si intravvede chi possa contrastare le galoppate di “questo” Pogacar, che sale costantemente sopra le righe della normalità ogni volta che decide di andarci come avesse in corpo un turbo innescabile a piacimento. L’onestà intellettuale impone di avanzare qualche riserva circa l’integrità morale di alcune persone che operano a viso scoperto nell’orbita di Pogacar. Meglio scriverlo subito, assumendo tutte le responsabilità del caso, piuttosto che dover sottoporre i propri giudizi a revisioni storiche come accaduto ad esempio sul fronte di Lance Armstrong. E non soltanto. I corridori grandi peccatori del passato sono stati spazzati via dall’anagrafe. Ma sulle strade della Vallonia si son visti troppi personaggi e alcuni ex atleti che nei loro anni d’oro delle prestazioni agonistiche e delle relative conquiste – e non del comportamento, s’intende – sotto la bandiera anche del ciclismo italiano si sono macchiati di colpe comprovate.
Lo sport, si sa, non riesce a ripulirsi dall’interno e chi sta sopra fa sempre pagare il conto della disonestà a chi sta sotto: ecco perché del ciclismo contemporaneo e di quello che verrà bisognerà comunque attendere la revisione della storia prima di consegnarlo agli archivi col timbro della pulizia. Comunque sia… ben venga maggio con il suo festival delle due ruote Pogacar-dipendente, che quest’anno si accenderà alla Venaria Reale sabato 4 maggio in un cocktail di emozioni con la miscela del Grande Torino a Superga, un po’ come accadde nel 2011 quando in città a celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia erano “capitati” anche 400.000 alpini! Stavolta la cornice sarà d’appeal, ma meno ricca.
Credito fotografico: Instagram, Giroditalia.