Nel Golfo di Guascogna, ogni anno vengono trovati sulle spiagge circa 6.000 delfini morti, vittime delle reti da pesca. Una strage silenziosa, tanto grave da spingere la Francia a introdurre un provvedimento senza precedenti: da fine ottobre le telecamere sono diventate obbligatorie a bordo dei pescherecci oltre gli otto metri di lunghezza. Le immagini, registrate e archiviate, serviranno ai ricercatori per monitorare gli impatti delle attività di pesca sui cetacei e verificare l’efficacia dei repulsori acustici, i dispositivi pensati per tenere lontani i delfini dalle reti. Il dato che ha convinto il governo francese è impressionante: durante un solo mese di sospensione della pesca, la mortalità dei delfini spiaggiati è diminuita del 75%.
Un salto culturale
La decisione nasce dopo anni di pressioni da parte delle associazioni ambientaliste e di richiami da Bruxelles per il mancato rispetto delle direttive europee sulla tutela della fauna marina. La Francia è così il primo Paese dell’Unione a introdurre un sistema di sorveglianza permanente, con l’obiettivo di garantire trasparenza e raccogliere dati certi su un fenomeno in gran parte sommerso. Non si tratta solo di una misura tecnologica, ma di un salto culturale: per la prima volta si entra nell’ambito della “pesca tracciata” anche dal punto di vista ecologico.
L’Italia, che condivide lo stesso mare e problemi simili, non può chiamarsi fuori. Diversi studi, tra cui una ricerca condotta dall’Università di Padova su pescatori italiani e croati, indicano che oltre un terzo degli intervistati ha catturato accidentalmente almeno un delfino nel corso della carriera. E più del 70% ritiene che negli ultimi dieci anni la presenza dei cetacei nelle aree di pesca sia aumentata. Un segnale chiaro di coabitazione forzata, aggravata dall’intensificazione delle attività di pesca artigianale e dall’aumento delle temperature marine che modificano gli habitat.
Una procedura d’infrazione contro l’Italia
Bruxelles ha già aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia per la scarsa applicazione delle norme sul cosiddetto “by-catch”, la cattura accidentale di specie protette. I piani di monitoraggio restano frammentari e le misure di prevenzione poco diffuse: appena l’11% dei pescatori italiani, secondo i dati disponibili, ha utilizzato dispositivi acustici dissuasori. In molte marinerie manca anche una reale conoscenza delle tecnologie di prevenzione, segno di una distanza ancora ampia tra il mondo della ricerca e quello della pesca.
L’obbligo di telecamere, in questo contesto, potrebbe diventare presto più di un’ipotesi. L’Unione Europea prevede l’introduzione di sistemi di osservazione elettronica per garantire la tracciabilità e la trasparenza delle catture, e la Francia ha appena dimostrato che l’applicazione è possibile. In Italia, dove le flotte sono composte in gran parte da imbarcazioni di piccole dimensioni, sarebbe necessario un approccio graduale: incentivi per i pescherecci più grandi, sperimentazioni volontarie, formazione degli equipaggi e un monitoraggio condiviso che coinvolga anche le associazioni di categoria.
Il punto è che la direzione è tracciata. Se la Francia ha scelto la via del controllo visivo per difendere i cetacei, l’Italia non potrà restare a lungo senza una risposta. Nel Mediterraneo, mare semichiuso e fragile, la sopravvivenza dei delfini è un indicatore diretto della salute dell’ecosistema. E un Paese che si definisce custode del “mare più biodiverso d’Europa” non può permettersi che il prezzo della pesca sia il silenzio dei suoi delfini.
															