Nel 2024, l’Italia si scopre ancora più esposta al dissesto idrogeologico. Secondo il nuovo rapporto triennale dell’ISPRA reso noto oggi, la superficie classificata a pericolosità per frane dai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) è aumentata del 15% rispetto al 2021, arrivando a coprire 69.500 chilometri quadrati, pari a quasi un quarto dell’intero territorio nazionale. La crescita non deriva solo da nuovi fenomeni franosi, ma anche da mappature più dettagliate condotte da Autorità di bacino e Province autonome.
Le aree a pericolosità elevata e molto elevata (classi P3 e P4) passano dall’8,7% al 9,5% del territorio nazionale. Il dato più inquietante è che il 94,5% dei Comuni italiani è oggi a rischio frana, alluvione, valanga o erosione costiera. Siamo un Paese che vive, letteralmente, in equilibrio precario.
Il clima che cambia e gli eventi estremi
Il rapporto ISPRA mette in fila gli eventi che hanno segnato il triennio 2022-2024: l’alluvione delle Marche nel settembre 2022, la colata di fango a Ischia nel novembre dello stesso anno, con 12 vittime, l’alluvione in Emilia-Romagna nel maggio 2023 con danni stimati in 8,6 miliardi di euro, e le intense precipitazioni in Valle d’Aosta e Piemonte settentrionale nel giugno 2024. Tutti segnali di un cambiamento climatico che sta rendendo le piogge più intense, brevi e distruttive. Crescono le frane superficiali, le colate detritiche, le flash flood. E il rischio si allarga anche a territori che prima si ritenevano al sicuro.
Sono 636.000 le frane censite
L’Italia, da sempre fragile per la sua conformazione geologica, oggi ha censito oltre 636.000 frane, grazie all’Inventario dei Fenomeni Franosi (IFFI) realizzato da ISPRA con Regioni e ARPA. Più di un quarto di questi eventi ha dinamiche rapide e potenziale distruttivo elevato. In totale, quasi 5,7 milioni di italiani vivono in aree a rischio frana, con 1,28 milioni esposti a livelli di pericolosità alti o molto alti. Parliamo di 742.000 edifici, 582.000 famiglie, 75.000 attività economiche e 14.000 beni culturali.
Alluvioni e nuove mappe in arrivo
Il rapporto segnala anche il lavoro in corso per aggiornare le mappe di pericolosità e rischio alluvione, nell’ambito del terzo ciclo di gestione della Direttiva Alluvioni (2022-2027). Il nuovo pacchetto cartografico sarà disponibile nel 2026, ma intanto gli effetti dei cambiamenti climatici stanno già modificando la geografia del rischio.
Un segnale incoraggiante arriva però dalle coste. Tra il 2006 e il 2020, 1.890 chilometri di spiagge italiane hanno subito modifiche significative. Ma oggi, per la prima volta, i tratti in avanzamento superano quelli in erosione: 965 chilometri contro 934. È un’inversione di rotta che riflette gli interventi di ripascimento e le opere di protezione messe in campo negli ultimi anni. Non tutte le regioni registrano lo stesso miglioramento, ma il bilancio nazionale è positivo: 30 chilometri di costa guadagnati rispetto al passato.
Valanghe e montagna: rischio alto sopra gli 800 metri
Anche la montagna ha il suo peso nel bilancio del dissesto. Il 13,8% del territorio sopra gli 800 metri è potenzialmente soggetto a valanghe: 9.283 chilometri quadrati secondo la prima cartografia armonizzata nazionale, elaborata da ISPRA con AINEVA, Meteomont e le ARPA. Un altro tassello che arricchisce la mappa della vulnerabilità italiana.
A fronte di questo scenario complesso, la conoscenza resta la prima linea di difesa. ISPRA mette a disposizione due strumenti strategici: la piattaforma IdroGEO, per consultare le mappe aggiornate sul dissesto, e il ReNDiS, il Repertorio degli interventi finanziati per la difesa del suolo.
L’ultima novità è un assistente virtuale basato sull’intelligenza artificiale, attivo su IdroGEO, che aiuta cittadini, tecnici e amministratori a orientarsi tra dati e scenari di rischio. Secondo i dati ReNDiS, dal 2000 a oggi sono stati censiti quasi 26.000 interventi con un totale di 19,2 miliardi di euro stanziati.
In sostanza i numeri Ispra confermano che il dissesto è un fenomeno strutturale, aggravato dai cambiamenti climatici e dall’urbanizzazione mal gestita. Serve una strategia nazionale che sposti il baricentro dalla ricostruzione alla prevenzione. Perché se c’è una cosa che non possiamo più permetterci, è fingere che si tratti di eventi eccezionali.