La Japan Meteorological Agency (JMA) ha certificato che i mesi tra giugno e agosto 2025 hanno superato ogni record dal 1898, con punte drammatiche come i 41,8 °C registrati a Isesaki, nella prefettura di Gunma, il 5 agosto. A peggiorare il quadro c’è stata anche una siccità estesa, soprattutto lungo la costa del Mar del Giappone e nelle regioni settentrionali, dove le piogge stagionali sono finite in anticipo, aggravando lo stress idrico per agricoltura e popolazione.
Il caldo estremo si è tradotto in una vera emergenza di salute pubblica. Secondo i dati della protezione civile giapponese, tra maggio e settembre oltre 100.000 persone sono state ricoverate per colpi di calore, un record assoluto e in aumento del 3% rispetto allo scorso anno. Già ad agosto le autorità parlavano di più di 53.000 ricoveri, con gli anziani particolarmente colpiti. Le istituzioni hanno diffuso ripetuti avvisi alla popolazione: bere spesso, restare all’ombra, limitare le attività fisiche nelle ore più calde, non esitare a usare i condizionatori. Ma la frequenza delle ondate di calore rende difficile proteggere tutti, soprattutto nelle zone rurali e nelle case più vecchie.
Il riso, alimento simbolo sotto assedio
Le ripercussioni più visibili della crisi climatica si notano nei campi. Il riso, alimento centrale della dieta giapponese, è stato messo in ginocchio da caldo e siccità. I chicchi non si sono formati correttamente, diventando spesso “gessosi”, cioè di qualità inferiore. Il risultato è stato un calo della resa e una forte diminuzione del prodotto commerciabile. La produzione attesa per quest’anno è di circa 7,3 milioni di tonnellate, contro i 7,9 milioni del 2015 e gli 8,5 milioni del 2005: una riduzione costante che riflette l’impatto del riscaldamento climatico, aggravato dalla difficoltà di coltivare in un Paese dove l’età media degli agricoltori supera i 68 anni.
Il prezzo del riso è quindi esploso, arrivando a costare anche il 100% in più rispetto al 2024. Nei supermercati un sacco da 5 chili ha superato i 4.200 yen, mentre i grossisti hanno toccato livelli record con oltre 27.000 yen per 60 chili. La scarsità ha spinto alcuni punti vendita a imporre limiti di acquisto per cliente e ha favorito episodi di accaparramento. Per contenere l’emergenza, il governo ha rilasciato dalle riserve strategiche 210.000 tonnellate di riso, un’operazione straordinaria destinata però a tamponare il problema solo per pochi mesi.
Le fragilità delle politiche agricole
Dietro l’impennata dei prezzi non c’è solo il clima. Per decenni il Giappone ha limitato la produzione di riso per sostenere i redditi agricoli, incentivando colture alternative e mantenendo barriere doganali rigide sulle importazioni. In tempi stabili queste politiche potevano funzionare, ma oggi si rivelano un ostacolo: di fronte a raccolti più poveri e a una domanda interna che resta stabile, la rigidità del sistema aumenta la vulnerabilità ai picchi di prezzo. Anche la qualità del riso immesso sul mercato si è ridotta: nelle risaie colpite dal caldo, la percentuale di chicchi commerciabili è in forte calo, generando ulteriori rincari.
La crisi giapponese ha un significato che va oltre i confini nazionali. Dimostra come persino un Paese tecnologicamente avanzato e con politiche agricole consolidate non sia immune dagli effetti del cambiamento climatico. L’impatto combinato su salute pubblica ed economia agricola rivela quanto la “nuova normalità” fatta di estati estreme e siccità possa destabilizzare anche le economie più solide. Per Tokyo, come per molte altre capitali, la sfida sarà investire in varietà di riso resistenti al caldo, rafforzare le infrastrutture idriche e rivedere politiche di riserva e importazione.
Il riso che raddoppia di prezzo in pochi mesi non è solo un problema per i consumatori giapponesi, ma un campanello d’allarme globale: il cambiamento climatico non risparmia nessuno, e il costo da pagare rischia di presentarsi sempre più spesso sotto forma di scaffali vuoti e ospedali sovraccarichi.