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Giro 2023 e l’ultimo brivido, vince Roglic

28.05.2023

Delle 48 montagne, 21 tappe e 71 chilometri a cronometro ci rimane la toccata e fuga di Remco Evenepoel campione del mondo anche nel gettare scompiglio. Quest’anno la corsa rosa non è stata entusiasmante, al punto di trasformare ogni giorno della settimana in domenica.

Il refrain del 2023, che ci siamo portati appresso per tre settimane, è stato: il Giro comincia domani. Il ritornello è divenuto stucchevole, ma fortunatamente è in archivio per rimanervi all’infinito. In extremis, il Giro si è risolto grazie alla manciata di secondi con cui lo sloveno Primoz Roglic – alla faccia di un piccolo-grande inconveniente di un salto di catena nella parte finale del risolutivo Monte Lussari della 20^ delle 21 tappe – ha fatto picchiare al gallese Geraint Thomas l’ennesima musata nella corsa rosa.

Su quel che è da dipingere come il “Giro d’Italia che… comincia domani”, c’è il marchio di Roglic, appunto che così aggiunge la rosa alle tre maglie rosse della Vuelta. E ora il Giro può andare in archivio con la benedizione del presidente Sergio Mattarella, che chiamerà a sé, a Roma, i superstiti della carovana numero 106 per la bazzecola – così almeno è stato scritto e mai smentito – di un milione e mezzo di euro infilati nelle casse degli organizzatori da parte della Municipalità di Roma grazie al PNRR.

Il sipario cala sul Giro che ogni giorno annunciava di cominciare l’indomani e che in Friuli Venezia Giulia ha trovato le emozioni forti nell’ultimo quarto d’ora dell’intera galoppata. La corsa si è consumata pian piano, da Fossacesia in avanti, senza altri grandi sussulti, senza impronte speciali e senza momenti positivi in maggioranza sui momenti negativi. Bisogna andare in fretta verso un altro… domani.

Degli oltre tremila chilometri, delle 48 montagne, delle 21 tappe, dei 71 chilometri a cronometro ci rimangono: la toccata e fuga di Remco Evenepoel campione del mondo anche nel gettare scompiglio; la tanta pioggia delle prime due settimane; gli alibi confutabili dietro troppi abbandoni anche clamorosi; la pagliacciata della mutilazione della Cima Coppi e della tappa “impraticabile” di Crans Montana; i quattro soldi di agonismo sulla salita dei Cappuccini prima di Fossombrone; i cinque chilometri al calor bianco sul Bondone (peraltro affrontato dal versante meno nobile); il regolamento di conti (spiccioli) tra Geraint Thomas, Primoz Roglic e Joao Almeyda tra Zoldo, Tre Cime di Lavaredo e Monte Lussari; i troppi topolini partoriti dalle montagne; e, finalmente, il blitz finale di Roglic, che arriva dalla stessa Slovenia di Tadej Pogacer faro del Tour.

E poco, pochissimo altro. Non sono sicuramente le fughe da lontano di gruppi foltissimi a eccitare le folle. Contano gli scontri diretti e universali e non segmentati. Contano gli scatti come avvii di imprese memorabili e non le semplici progressioni. Conta il coraggio e non la promessa tradita. Alla partenza dall’Abruzzo venne ricordata la frase coniata da Indro Montanelli laddove la nuova avventura stava per nascere, a Pescara: il Giro ha il potere di trasformare ogni giorno della settimana in domenica. Ebbene, quest’anno tutti messi insieme (corridori, direttori sportivi, team manager, procuratori, commentatori) sono riusciti a trasformare persino le domeniche in giorni feriali. Salvo l’ultimo sabato con il brivido di una catena saltata che ha moltiplicato le energie di Roglic per un capolavoro fugace consumato ai danni del giustiziato Thomas.

 

Credito fotografico:

Giro d’Italia

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