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Giù il monumento di Josè Mourinho

17.01.2024

È davvero finita per José Mourinho? L’uomo più amato dai suoi e più odiato degli altri è fuori dall’esperienza giallorossa, circoscritta a una Conference League. Tanto si sa, gli americani, quando devono costruire qualcosa di nuovo, buttano giù i monumenti.

Il terzo anno è sempre stato quello maledetto, ed è forse questo l’unico vero limite di chi un giorno si pose poco sotto Dio: «Non sono il migliore del mondo, ma penso che nessuno sia meglio di me». L’uomo ti consuma e si consuma, non è la prima volta che accade, e il fatto che la Roma abbia deciso in una nottata di disfarsi di Josè Mourinho non può destare sorpresa. E il dibattito comunque resterà sempre quello, tra la grandezza di un allenatore diventato un manifesto pubblicitario di se stesso e lo smarrimento di un ego incapace di adeguarsi alla realtà. Allora José: è davvero finita?

Difficile dirlo: le vacanze romane del tecnico più amato (sempre dai suoi) e più odiato (sempre dagli altri) si interrompono probabilmente sul più brutto, quando il rapporto con l’ambiente era diventato come quello dei matrimoni in cui ormai si dorme in stanze separate. Era successo, la sua seconda volta, al Chelsea; era successo a Manchester, quando lo United ha capito che non era lui l’erede di Sir Alex Ferguson. Ora è la Roma giallorossa ad essere risvegliata bruscamente, come quando arriva il lunedì che ti riporta alla realtà dopo le ferie. Perché questa appunto è stata: una vacanza, una festa continua con uno stadio sempre pieno e una movida di quelle che ti frastuonano il cervello, e se non ne fai parte finisci per non poterne più. E perché poi a Roma non ci erano abituati, ma Mou è sempre stato lo stesso, l’uno contro tutti, il rumore dei nemici, il “daje” continuo ad avversari, arbitri e istituzioni per nascondere il fatto che se poi non hai i giocatori giusti, alla fine c’è sempre chi ti ricorda che non sei così tanto speciale. Eppure, ne siamo così sicuri?

È finita con quattro derby persi su sei, con una resa contro il Milan, con qualcosa che non è stato. «Fra tre anni voglio festeggiare», disse all’inizio. «La gente possa pensare che mi chiamo José Harry Mourinho Potter, alza il livello di esigenze e aspettative. Stiamo lottando per qualcosa di molto difficile» è il suo epitaffio. Eppure, in mezzo, è stato bello, una storia di emozioni, di passione, quasi di popolo, vissuta tra grandi vittorie mascherate da trionfi (la Conferenze League, per dire) e sconfitte tramutate in ingiustizie. Il solito Mou, direte voi, quello tutto chiacchiere e cartellini rossi, ma questa volta ha osato troppo, rifiutando i soldi facili degli arabi per giocare con una questione di cuore. Ha sbagliato, perché non gli è mai riuscita di battere la maledizione del terzo anno, però comunque «Tirana è per sempre», così l’hanno salutato i tifosi fuori da Trigoria.

Rimane, insomma, che Special One lo è stato davvero non tanto per il Triplete con l’Inter, lì dove lo ameranno per sempre, ma per aver capito che doveva fuggire subito dopo. Due anni e via, mentre adesso a Roma si ricomincia da capo: i Friedkin sognano un futuro, successi, un nuovo stadio, ma non così e non con lui.

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