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Esteri, Politica

Grandeur democratica

09.07.2024

Le elezioni legislative francesi stravolgono le previsioni di chi dava per scontata e inarrestabile l’avanzata della destra “lepeniana”, ma soprattutto esaltano l’attenzione europea al “partito” del non voto. La Francia riscopre se stessa a vantaggio di Macron. In realtà si tratta di un atto di democrazia e non di un’operazione di calcolo.

L’esito del voto in Francia, al di là delle pure complesse risultanze politiche, dimostra che la quota di partecipazione alla consultazione elettorale riesce ad avere sempre un peso determinante sulla rappresentanza parlamentare e, inoltre, che i risultati non possono considerarsi né scontati, né tantomeno ridotti alla stregua di una partita giocata fino ai supplementari. In questo caso, c’è stato solo un primo e un secondo tempo, con un riscontro che racconta come il patto di desistenza invocato dal Fronte popolare abbia avuto la forza di stravolgere le previsioni di chi dava per scontata e inarrestabile l’avanzata della destra “lepeniana”. Se i due terzi degli elettori d’oltralpe hanno deciso di recarsi alle urne, cosa che non accadeva dagli inizi degli anni ’80 (l’era di Francois Mitterand) quando ben altri erano i sentimenti e la caduta del Muro di Berlino era ancora di là da venire, vuol dire che gli elettori hanno deciso di compiere una scelta che non fosse influenzata dai sondaggi. Anzi, ad uscirne male sono proprio i sondaggisti, impegnati per giorni ad analizzare quanto mancasse al Rassemblement National per tagliare il traguardo della maggioranza assoluta dei seggi.

Attenzione, dunque e ovunque, al partito del non voto. Che, quando decide di scendere in campo, è in grado di stravolgere gli scenari. Sono in tanti gli opinionisti politici che hanno ritenuto azzardata la mossa del presidente Macron di sciogliere l’Assemblea all’indomani delle elezioni europee, in cui la destra ha raggiunto il 31.4%. In realtà, si è trattato di un atto di democrazia e non un’operazione di calcolo. Certo, poteva concludersi in modo diametralmente opposto. Di fatto, pure con una forte avanzata, ma in arretramento rispetto al primo turno quando ha toccato il 33%, il partito di Marine Le Pen si è ritrovato sul gradino più basso del podio, superato anche dai centristi. La Francia, però, allo stato dell’arte si ritrova senza vincitori né vinti, perché un parlamento diviso in tre impone alleanze che nel passato recente, in Paesi come Italia e Germania hanno fatto fatica a reggere.

Nella tornata elettorale francese ci si è preoccupati soprattutto di votare contro. Ora si tratta di trovare, conta alla mano, un equilibrio forzato che non è detto faccia bene al Paese e trovi l’atteso consenso popolare. La maggioranza relativa è di una sinistra per la maggior parte dei suoi componenti di stampo radicale e che non ha mai sostenuto Macron. Difficile pensare che il leader della gauche Mélenchon e il premier uscente Attal, macroniano della prima ora, si sintonizzino sulla stessa lunghezza d’onda. La Francia ha scoperto che la maggioranza degli elettori non vuole Bardella e Le Pen alla guida del governo, ma nel contempo non ha prodotto numeri per decidere chi debba governarla senza sussulti e grida.

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