2 Aprile 2025
/ 26.02.2025

Green Deal e il pacchetto Omnibus tra semplificazione e retromarcia

L’Unione Europea ha presentato il pacchetto Omnibus: due nuove proposte di direttiva che modificano profondamente la regolamentazione sulla sostenibilità aziendale e sulla due diligence ambientale e sociale.

L’obiettivo dichiarato è la semplificazione, con l’intento di ridurre il carico amministrativo sulle imprese e favorire la competitività. Tuttavia, l’entità delle modifiche solleva interrogativi su quanto queste nuove regole possano impattare negativamente sulla transizione ecologica e sulla capacità del Green Deal di mantenere le sue ambizioni iniziali.

Le principali novità riguardano la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD). Con la revisione, l’obbligo di rendicontazione sulla sostenibilità sarà limitato solo alle aziende con più di 1.000 dipendenti, escludendo circa l’80% delle imprese precedentemente coinvolte. Questo taglio riduce drasticamente la quantità di dati disponibili per investitori, istituzioni finanziarie e consumatori, creando un vuoto informativo su larga scala. Inoltre, vengono eliminati gli standard settoriali, che avrebbero permesso di monitorare con maggiore precisione le industrie a maggiore impatto ambientale.

Anche la due diligence aziendale subisce un ridimensionamento significativo. Le imprese dovranno monitorare soltanto i fornitori diretti, senza più l’obbligo di verificare l’intera catena di approvvigionamento, a meno che non emergano prove concrete di violazioni. Questo limite riduce la trasparenza nei settori più esposti a rischi ambientali e sociali, come l’industria tessile, l’estrazione di materie prime e l’agroalimentare. Parallelamente, gli obblighi sul piano della transizione climatica vengono alleggeriti e trasformati in un semplice requisito formale, senza indicazioni stringenti sugli obiettivi da raggiungere.

Oltre alla riduzione della portata delle norme, entrambe le direttive subiscono un ritardo nell’entrata in vigore. Per la CSRD, l’applicazione slitta di due anni, con il nuovo quadro che sarà operativo solo dal 2027. Per la CSDDD, l’obbligo per le imprese di conformarsi alle nuove regole viene posticipato al 2028, con un ulteriore slittamento per le realtà più piccole. Un rinvio che arriva in un momento cruciale, quando gli obiettivi climatici del 2030 richiederebbero invece un’accelerazione delle politiche di sostenibilità.

La Commissione Europea motiva queste scelte con la necessità di trovare un equilibrio tra sostenibilità e competitività. Il contesto geopolitico ed economico è mutato rispetto a quando il Green Deal è stato concepito: la crisi energetica, le tensioni commerciali con Stati Uniti e Cina e la pressione degli Stati membri per una semplificazione normativa hanno portato Bruxelles a rivedere l’impianto originale. La Budapest Declaration, firmata dai governi europei lo scorso novembre, aveva chiesto una riduzione del 25% degli oneri amministrativi, e questa revisione sembra rispondere direttamente a quella richiesta.

Ma la portata di questo cambiamento non si spiega solo con fattori economici. Un elemento chiave è il modo in cui la Commissione stessa ha modificato la propria posizione nel tempo. La prima proposta sulla Corporate Sustainability Due Diligence Directive aveva soglie di applicazione più basse, includendo molte più imprese. È stato poi il Consiglio, su pressione di governi come quelli di Francia e Italia, a chiedere di alzare il limite, riducendo così il numero di aziende coinvolte. Questo ha segnato una svolta nel negoziato, trasformando un’iniziativa nata per garantire una maggiore responsabilità ambientale e sociale in un compromesso che ne ha ridimensionato l’ambizione iniziale.

A cambiare è stato anche l’atteggiamento della stessa Ursula von der Leyen. Se nel suo primo mandato la presidente della Commissione è stata una delle principali promotrici del Green Deal, questa seconda fase del suo mandato la vede invece protagonista di un netto ridimensionamento delle misure ambientali. Il quadro normativo che oggi viene presentato è il risultato di un riequilibrio politico in cui la priorità della transizione ecologica deve ora confrontarsi con le richieste di flessibilità da parte di governi e imprese.

Questa nuova impostazione, che punta a rendere il sistema più “snello”, rischia però di trasformarsi in un progressivo allentamento degli obiettivi climatici. Se la traiettoria della transizione ecologica perde slancio oggi, il rischio è che nel lungo periodo diventi difficile recuperare il ritardo. Il Green Deal è stato concepito come un pilastro della strategia europea per il futuro, un percorso che avrebbe dovuto guidare la trasformazione economica e industriale dell’Europa nei prossimi decenni. Se la revisione normativa di oggi finisse per svuotare di significato gli impegni presi, si rischierebbe di rendere vani gli sforzi compiuti finora e di compromettere gli obiettivi climatici del 2030 e 2050. La flessibilità richiesta dalle imprese e dai governi potrebbe rivelarsi, nel tempo, un freno piuttosto che un incentivo alla transizione, con il rischio che il ritardo di oggi si trasformi in un costo ambientale ed economico molto più alto domani.

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