27 Novembre 2025
/ 27.11.2025

Hawaii, piscine ancestrali contro la crisi climatica

Uno studio dimostra che i loko iʻa, sistemi di acquacoltura costruiti dalle comunità native hawaiane, mantengono temperature più basse e più stabili delle acque marine vicine. Un raro esempio di resilienza locale al cambiamento climatico

Le Hawaii sono tra le aree più vulnerabili alla crisi climatica: l’oceano si riscalda, l’erosione costiera accelera, gli ecosistemi marini si indeboliscono. Eppure, lungo le coste dell’isola di Molokaʻi, c’è un’eccezione. In alcune vasche costiere l’acqua resta più fresca del mare aperto, anche nei mesi più caldi.

Si tratta dei loko iʻa, sistemi di acquacoltura tradizionali costruiti dalle comunità native hawaiane oltre 800 anni fa. Secondo uno studio pubblicato su npj Ocean Sustainability, queste strutture offrono una sorprendente stabilità termica e potrebbero diventare un modello di adattamento climatico locale.

Il team, guidato da Annie Innes-Gold, ricercatrice presso l’Istituto di Biologia Marina di Mānoa, ha costruito un modello di simulazione per capire come questi antichi sistemi reagiranno al riscaldamento globale, rivelando che i sistemi di acquacoltura indigeni proteggono efficacemente le popolazioni ittiche dagli impatti negativi dei cambiamenti climatici, dimostrando resilienza e rafforzando la sicurezza alimentare locale. Il segreto sta nella loro struttura. L’acqua dolce proveniente da torrenti e sorgenti sotterranee si mescola continuamente con quella marina, creando un effetto di raffreddamento naturale. Mentre le temperature medie della baia salgono costantemente, gli stagni mantengono oscillazioni che si avvicinano ai 25 °C, la temperatura ottimale per le specie simbolo di questi sistemi.

Tre strategie da integrare

Le simulazioni proiettate fino al 2100 mostrano che, senza interventi, le popolazioni ittiche degli stagni resisteranno meglio di quelle della baia circostante. Ma i benefici aumentano se si integrano tre strategie: il ripristino del bacino idrografico per aumentare nutrienti e flusso d’acqua, il rilascio controllato di giovani pesci dagli incubatoi, la regolamentazione della pesca. In questi scenari “combinati”, la densità ittica può quasi raddoppiare rispetto alle condizioni attuali. Lo studio, è il primo a fornire dati quantitativi dettagliati sulla loro resilienza climatica.

 “Questi risultati evidenziano l’importanza dell’apporto di acqua dolce come fonte di regolazione della temperatura”, spiega Innes-Gold, prima autrice della ricerca. “Supportano inoltre il valore del restauro bioculturale: non solo per aumentare le popolazioni ittiche, ma per costruire resilienza socio-ecologica in un clima che cambia”.

I loko iʻa sono sistemi di acquacoltura monumentali che gli hawaiani hanno costruito lungo le coste per secoli. Bacini acquatici che potevano estendersi da meno di un ettaro fino a centinaia di ettari, separati dal mare da muri di pietra e dotati di sofisticate paratoie che regolavano i flussi d’acqua. Il principio cardine è quello di trattenere le acque ricche di nutrienti abbastanza a lungo da moltiplicare la produttività ittica rispetto agli estuari naturali.

Decimati nel XX secolo

Nel periodo precoloniale, l’arcipelago ne contava 500. Ma il XX secolo, tra urbanizzazione, colonizzazione e disastri naturali, ne ha ridotto l’operatività, e alla fine del Novecento ne rimanevano solo sei. Negli ultimi decenni, però, è iniziato un movimento di restauro bioculturale: un approccio olistico che integra la riabilitazione degli ecosistemi con la rivitalizzazione culturale e il rafforzamento dei legami tra le comunità e i luoghi. Oggi una cinquantina di loko iʻa sono attivi o in fase di restauro, spesso grazie alla collaborazione tra comunità native, centri di ricerca e istituzioni pubbliche.

“I Loko iʻa sono un sistema unico”, conclude Innes-Gold. “Il loro ripristino può generare benefici di vasta portata: conservazione culturale, educazione, ecosistemi sani, sicurezza alimentare e, come abbiamo scoperto in questo studio, anche resilienza climatica”.

I ricercatori sottolineano come queste strutture siano sistemi ecologici e culturali complessi che integrano gestione delle risorse, pratiche collettive e conoscenza ecologica tramandata nei secoli. Il loro valore risiede anche nella sostenibilità intrinseca: nessun impianto meccanico, nessuna richiesta di energia esterna, ma una progettazione ecologica che si è mantenuta funzionale per secoli. E il modello potrebbe fare scuola, ispirare strategie di adattamento per altri sistemi di acquacoltura indigeni nel Pacifico e oltre, dai giardini di vongole della Columbia Britannica agli stagni ittici di Indonesia, Cina ed Europa.

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