14.12.2024
Alessandro Bergonzoni si sdoppia. “I dunque”, testo teatrale con crocevia verbali e verità cruciali sulla nostra condizione, fronteggia le installazioni di “Vite sospese”, lasciando spazio ad una riflessione sulla precarietà di un mondo che attende ancora di essere salvato dai nostri atti consapevoli e mirati. A teatro.
Deduttivo, esplicativo, il dunque sa di essere una congiunzione, ma aspetta che “arrivino i nostri”, meglio dei rinforzi. Grazie ad Alessandro Bergonzoni, profeta del verbo plurimo, avanzano “I dunque” (e che spettacolo sia) per dimostrare che la (dis)misura è colma, che il fraintendimento è d’obbligo in chi ha fondato lo “sciamaumanesimo” e l’”indistromabiliante”, alla ricerca di una nuova (c)realtà. Basaglia non c’entra, ma è arrivato il momento di “aprire la scatola cranica ed anche la scatola nera”.
Urge (cit) una «riflessione, sine qua non là, per vedere le vicinanze dall’arte al divino, cioè, da lì a là, da Bangkok a Van Gogh, da un fiammingo a un piromane». Citando, citando, la setta carbonara dei bergonzoniani si siede in platea (come al Teatro Elfo Puccini) per farsi trascinare dai flutti di parole in libertà che riempiono lo spazio, s’inerpicano lungo i sentieri del senso camuffato da nonsense, per ritrovarsele, poi, incasellate nel mosaico della creatività ad libitum. Le sue storie acefale fanno impallidire i seguaci della satira copia carbone della realtà appiattente. Il vulcano erutta scarica adrenalinica, che scorrazzando sull’ottovolante del virtuosismo, prende la parola, la viviseziona e la consegna all’asta dei pensieri, perché la situazione è grammatica (pardon, drammatica), e necessita di voli pindarici, per fuoriuscire da un eterno presente, dall’“l’inferno dell’uguale” (Byung-Chul Han, il filosofo), dove lo spazio ha divorato il tempo.
La parola può tutto: convincere, illudere, ferire, alimentare gioia, pur nella sua ambiguità di pharmakon, rimedio e veleno insieme. È magia oscura vaticinante che conferisce al nostro “Bacco sobrio” intento a lottare tra caos e ordine, insensatezza e senso (in un caleidoscopio comico-grottesco) per dipanare il garbuglio di crisi globali e perdita identitaria, egoismi, opportunismi (in)consci e nuove barbarie. E, superando l’espressione grafica o sonora, la parola lucidamente folle si fa spettacolo, mezzo privilegiato del nostro ALBERGOnzoni (l’hotel del pensiero setacciato ed esaltato), di sfatare i luoghi comuni e promuovere una crociata pensante contro i normotonici, quei malati di normalità votati ad un pedissequo conformismo, tanto da “non essere in contatto con il mondo soggettivo e con l’approccio creativo alla realtà” (Winnicott, docet). Eccolo, allora, AB disincagliarsi dalla tagliola d’una esistenza banalmente massificata, e come novello Lazzaro risorgere dal “cimitero dell’immaginario” che rischia d’inghiottire noi tutti in un vuoto d’identità, per incendiare la fantasia e consentire all’atto creativo (imprescindibilmente connesso alla vita) di prosperare e fare proseliti.
Gli spunti si moltiplicano, le invenzioni becere e geniali pure, incrociandosi in un racconto che afferisce alla vita, invita a guardare oltre il proprio orticello (benvenuti, altristi!) e sollecita un faro illuminante sui suicidi in carcere, sulla Casa dei risvegli (Luca De Nigris, cfr), sull’attività meritoria di Emergency, in nome della sacralità dell’esistenza umana. Ti accorgi che bisognerebbe recuperare il patto di catoniana memoria tra la parola e la cosa, proprio oggi, nell’era della comunicazione in cui impera (paradosso) lo squilibrio linguistico e la vibratilità della fantasia viene svuotata di pace interiore. Così, Alessandro nella sua affabulazione funambolica incontra Bill Viola per condividere “Vite sospese” incastonate nel percorso (visivo ed intimo) di installazioni sui tre piani della Fondazione Mudima di Milano, per esplorare il rischio e l’incertezza della condizione umana. L’opera-spada di Damocle “Attenzione! Incarichi sospesi” diventa monito perché la finitezza della vita suggerisce di abitare il mondo per proteggerlo e salvare noi stessi. Visionarietà ed impegno, dunque.