02.03.2024
Duemila persone ai funerali di Alexey Navalny a Mosca. Tante o poche? Considerando che partecipare o almeno assistere alle esequie voleva dire farsi identificare e schedare dai servizi di sicurezza, sono tante, e protagoniste di un gesto di coraggio civile che non può essere sottovalutato. Nello stesso tempo, dopo che si era parlato di sequestro del cadavere, e di una sua possibile sparizione, testimonia che la Russia non è un lager totale, e che il Cremlino deve fare i conti con una opinione pubblica, con le istituzioni religiose, con le tradizioni: deve convivere con la società civile, anche quella che, pur votando Putin e in disaccordo con la parabola politica di Navalny, non è disposta a perdere ogni traccia di umanità (dovremmo pur sempre ricordarci delle sorti del corpo di Bin Laden, disperso in mare, per evitare che la tomba potesse divenire un santuario del fondamentalismo, e a spargerne le ceneri in aria non erano stati gli aerei di Putin).
Nello stesso tempo quello che è successo all’uscita della chiesa moscovita nella quale solo la famiglia – o, meglio, quel che della famiglia è restato in Russia – è potuta entrare, ci restituisce l’immagine che il popolo russo è tante cose insieme, e non dovrebbe mai essere ricondotto per intero alle politiche del Cremlino. Una decina di giorni fa a una cittadina russa è stato rifiutato, nel duty free dell’aeroporto di Fiumicino, l’acquisto di una bottiglietta d’acqua perché, appunto, russa. Le scuse sono arrivate ma l’episodio è rivelatore della russofobia che, a due anni dall’invasione russa, si è diffusa, tra esibizioni musicali cancellate, sportivi contestati, sospetti di propaganda filorussa su ogni posizione che non aderisca totalmente e in modo disciplinato alle versioni di Kiev, di Bruxelles, di Palazzo Chigi e di Washington. I funerali di Navalny stanno a ricordarci che ogni cittadino russo è una singola persona come noi, sulla quale non ricadono le responsabilità dei rispettivi governi, e mai giudizi sommari e collettivi. E, ovviamente, vale anche il contrario: se dobbiamo giudicare i duemila di Mosca con il metro interessato al cambio di regime, troppo facilmente auspicato ai tempi del fallito assedio di Kiev, e a quelli della mancata insurrezione di Prighozin, allora i duemila diventano maledettamente pochi. Ma erano pochi i suoi sostenitori da vivo. L’essersi offerto ai suoi persecutori ritornando in Russia e l’aver trovato morte in una prigione siberiana possono avergli guadagnato rispetto, ma non il miracolo dei voti e dei grandi numeri. In fondo, non era questo il piccolo risultato che Navalny cercava. Sarà il futuro della Russia a dirci se la morte dell’oppositore solitario rimarrà una pagina di coraggio individuale, o qualcosa di più, come lui avrebbe auspicato.