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Sicurezza, Società

Il “bodyshaming”, tristezza comportamentale diventa reato

17.04.2024

Significa “derisione del corpo”. Il fenomeno tristemente diffuso, online e offline, secondo una recente interpretazione della Cassazione, può diventare reato. Focus sul caso della content creator @laz3cca.

È di poche settimane fa il video-sfogo della content creator nota sui social come @laz3cca, la quale ha raccontato un episodio di bullismo subito all’interno di una palestra di Napoli: «Ero sul tapis roulant e ad un certo punto ho iniziato a sentire caldo. Mi sono tolta la t-shirt e ho continuato a correre. Mi sono accorta che c’era un gruppo di ragazzi di fronte a me. Mi guardavano, parlavano tra di loro e ridevano. Sono sicura che guardavano me perché non c’era tanta gente. Gonfiavano le guance. È possibile che non ci sia un posto dove posso stare tranquilla? Succede ovunque, al supermercato, all’università, qua sui social nei commenti». E no, la banale retorica del “se stai sui social accetti anche le critiche” non regge. Perché qui non si tratta di critiche, ma di insulti.

Quello di Francesca – questo è il nome della ragazza – non è un caso isolato: le vittime di “bodyshaming” sono tante, troppe. Questo neologismo, che significa “derisione del corpo”, rappresenta un fenomeno tristemente diffuso, online e offline, e racchiude una serie di comportamenti che possono includere insulti, giochi di parole e allusioni all’aspetto fisico della vittima. Una forma di violenza a tutti gli effetti e che, in quanto tale, può causare disagio psicologico in chi la subisce, perché fa leva proprio sulle fragilità legate all’immagine di sé e alle pressioni sociali derivanti da un’idea irreale di corpo perfetto a cui conformarsi. E gli effetti possono essere devastanti: sviluppo di una scarsa autostima, ansia, depressione e disturbi alimentari.

Ma cosa dice la legge sul bodyshaming? Secondo una recente interpretazione della Cassazione, che fa riferimento alla sentenza 20251/2022, ci sono dei casi in cui questo fenomeno può essere considerato reato. Nello specifico, non esistono pronunce in tal senso, ma in astratto ci sono i presupposti per essere querelati. Allora quando è considerabile reato e quando no? Tra i casi di punibilità rientrano situazioni in cui l’intento di chi insulta, deride o denigra è quello di ferire il destinatario, così come quando vengono fatte scherzi o battute offensive con lo scopo di far ridere altre persone: in queste due ipotesi, secondo la Cassazione, entra in gioco la diffamazione aggravata e, con l’accertamento del danno, scatta l’obbligo di risarcimento. Attenzione però: se la vittima è presente al momento delle offese (online o offline che sia) non si parla di diffamazione ma di ingiuria, un reato depenalizzato a illecito civile, che prevede comunque l’ipotesi di risarcimento. Un ultimo caso è rappresentato dalla diffusione di immagini offensive, con cui invece scatta il reato di illecito trattamento dei dati personali.
Insomma, una sentenza che dovrebbe per lo meno renderci più consapevoli di una cosa: anche sui social non abbiamo alcun diritto di dire tutto quello che ci passa per la testa. Perché dietro profili digitali ci sono persone e, in quanto tali, meritano tutto il nostro rispetto.

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