3 Luglio 2025
/ 3.07.2025

Il caldo non è equo, chi è povero soffre di più

L’altra faccia dell’aria condizionata: quando il sollievo diventa un privilegio. Entro il 2050 la quota di famiglie che avranno un condizionatore salirà dal 28% attuale a una forchetta compresa tra il 41% e il 55%. Ma non tutti si possono permettere il fresco. Frenare la transizione ecologica allarga il divario sociale

Oggi il caldo non è equo, non colpisce tutti in modo uguale. E non per le differenze fisiche. La selezione si fa in base al portafoglio: chi può spendere di più soffre di meno. E muore di meno. In un mondo che si surriscalda, l’aria condizionata è ormai passata da lusso stagionale a necessità quotidiana. Ma non tutti se la possono permettere. Un nuovo studio pubblicato sul Journal of Environmental Economics and Management analizza in profondità le implicazioni globali della crescente diffusione dei condizionatori. Il quadro che emerge è chiaro: più fresco per alcuni, più emissioni per tutti. E soprattutto, un nuovo tipo di disuguaglianza sta prendendo forma — la cooling poverty, ovvero la povertà energetica da raffreddamento.

Secondo i ricercatori — tra cui Enrica De Cian, Giacomo Falchetta e Filippo Pavanello del CMCC e dell’Università Ca’ Foscari Venezia — la presenza di condizionatori nelle abitazioni fa salire i consumi elettrici medi del 36%. Con il progressivo aumento delle temperature, si prevede che entro il 2050 la quota di famiglie che avranno un condizionatore salirà dal 28% attuale a una forchetta compresa tra il 41% e il 55%. 

Ma questi benefici verranno diffusi in modo non equo sia all’interno dei singoli Paesi che tra i Paesi.In Africa, ad esempio, la diffusione resterà inchiodata tra il 9% e il 15%, ben al di sotto della media globale. E in Europa la fascia di chi non può far fronte all’aumento della bolletta energetica estiva cresce.

La cooling poverty

Questa crescita della domanda di raffreddamento domestico solleva dunque anche un problema etico e politico. Le destre populiste cercano di liquidare il Green Deal come una faccenda da salotto. Ma proprio dove il Green Deal è più debole si muore di più sotto i picchi di caldo che la transizione ecologica prova a frenare.

Senza piani validi di rilancio delle rinnovabili, dell’efficienza energetica, dell’economia circolare le giornate in cui l’afa non fa respirare aumenteranno. E senza città in cui il verde si espande, l’acqua viene ben regolata, la rete del trasporto pubblico funziona, le case sono pensate per difendersi dagli estremi climatici, il prezzo sarà pagato soprattutto dai più deboli. Bloccare la transizione energetica ed ecologica vuol dire aumentare il divario sociale, penalizzare chi è ai margini.

Lo studio infatti quantifica il concetto di cooling poverty, mostrando come le famiglie a basso reddito nei Paesi in via di sviluppo arrivino a spendere fino all’8% del proprio budget per l’energia necessaria a far funzionare l’aria condizionata. Al contrario, nei Paesi ricchi la stessa voce di spesa pesa tra lo 0,2% e il 2,5% dei consumi familiari.

“Nei Paesi in via di sviluppo, una parte significativa delle famiglie che adotteranno l’aria condizionata dovrà affrontare pesanti oneri di spesa per ottenere un livello accettabile di comfort termico”, spiega Giacomo Falchetta. In pratica, il caldo estremo rischia di esacerbare le disuguaglianze, creando nuove forme di vulnerabilità.

Un rischio per le reti, un’opportunità per le rinnovabili

Le implicazioni non si fermano ai bilanci familiari. L’impennata della domanda estiva mette sotto pressione le reti elettriche, soprattutto nei Paesi emergenti. In India, per esempio, si stima che per soddisfare i nuovi picchi di consumo servirà un aumento della capacità di generazione elettrica tra il 18% e il 29%. È una sfida colossale, che rischia di mandare in tilt le infrastrutture se non accompagnata da investimenti mirati e pianificazione energetica.

Questa corsa al raffreddamento potrebbe costare molto cara anche in termini ambientali. Le stime parlano di un consumo elettrico residenziale annuo compreso tra 976 e 1.393 terawattora. E visto che una parte importante del sistema elettrico poggia ancora sui combustibili fossili, le emissioni aggiuntive subiranno un aumento compreso tra 670 e 956 milioni di tonnellate di CO₂. Parliamo di livelli di emissioni comparabili a quelli di Paesi come la Germania e l’Indonesia. Non finisce qui: i costi economici diretti per l’energia consumata sono valutati tra 124 e 177 miliardi di dollari all’anno.

Tuttavia, la ricerca offre anche uno spiraglio di speranza: il fotovoltaico può essere un alleato importante. Le famiglie che vivono in zone con alta produzione solare mostrano consumi per il raffreddamento inferiori del 25%. Anche se i margini di incertezza restano, l’indicazione è chiara: integrare le rinnovabili nelle strategie di adattamento può ridurre sia i costi che le emissioni.

CONDIVIDI
casper-pedersen-7CEeAVIPvDU-unsplash

Continua a leggere