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Istruzione, Società, Storie

Il diverso, storia oltre le nostre possibilità

21.02.2024

Crisi di comprensione del diverso? Serve valorizzare l’unicità per salvarla, scongiurando gli effetti di una visione medicalizzata della disabilità. Serve inclusione e linguaggio, la D&I è tutt’altro che morta.

Sono tempi duri per i D&I (Diversity and inclusion, ndr) manager, i professionisti della diversità e inclusione. C’è una generalizzata mancanza di fiducia nelle pratiche inclusive. La “schwa”, ad esempio, simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale utilizzato negli ultimi anni per rendere la lingua italiana meno discriminante, viene bollata come inutile e fastidiosa dai più insofferenti.

Diversità e inclusione sono arrivate al capolinea? La risposta è negativa per Daniele Regolo, D&I Ambassador del gruppo Openjobmetis SpA, nel saggio “La formula dell’unicità – Un nuovo percorso verso l’inclusione” (Mondadori, 2024). Portatore di una sordità prelinguale, l’autore è testimone diretto delle sfide legate alla diversità. La credibilità di quanto scrive sta nell’esperienza di vita e nella capacità di trasformare la sua unicità in potenziale. «Da quando ho deciso di fare della mia disabilità il mio lavoro, ci è voluto il tempo necessario, quello della crescita professionale, affinché la mia diversità rappresentasse un valore aggiunto», commenta l’autore.

Nascere non udente negli anni Ottanta ha significato dover subire gli effetti di una visione medicalizzata della disabilità. «Aver vissuto sin da bambino il paradigma della mia condizione, mi permette di vedere il mondo con lenti diverse e di ripensare agli episodi del passato con un altro approccio», spiega Regolo. In questo processo, anche gli eventi dell’infanzia assumono una grande rilevanza. «Quasi nessuno mi passava la palla (…) – scrive l’autore – Era poca la fiducia che mi veniva concessa». E continua: «A scuola percepivo fortemente la mia potenziale disparità (…) durante le gite (…) i miei compagni erano liberi di scorrazzare qua e là, mentre io non avevo scampo, protetto dalle maestre».
Per dare il giusto significato alle esperienze della gioventù c’è voluta quasi una vita intera. «Ho impiegato moltissimo tempo a capire che io non sono la mia sordità». Oggi Daniele è padre, appassionato di vela, fondatore di Jobmetoo, piattaforma per il recruitment delle persone con disabilità e appartenenti alle Categorie Protette ed esperto D&I che aiuta le aziende a intraprendere un percorso di accettazione delle unicità.

«Sempre più spesso si sente dire che nessuno è davvero indispensabile in un team – dice Regolo – Eppure, il fenomeno della Great Resignation prova il contrario!». Ecco perché la D&I è tutt’altro che morta, ma serve un cambiamento radicale. «Ciò comporta costruire una strategia ad hoc per ogni realtà, basata su un messaggio fondamentale: parità di trattamento ed equità non sono la stessa cosa». Anche la comunicazione deve essere rivoluzionata, eliminando gli slogan privi di sostanza che hanno come unico scopo la visibilità e non il benessere dei collaboratori. «È fondamentale che il board e tutto il top management delle aziende siano convinti di iniziare un percorso D&I». Per Regolo l’inclusione è un «dialogo costante tra l’azienda e i collaboratori, chiamati a cooperare per raggiungere l’obiettivo».

I D&I manager hanno quindi ancora molte ore di lavoro davanti a sé. Ai più insofferenti alla “schwa” è importante far notare che ci sono voluti più di quarant’anni per sostituire il termine “handicappato”, con “persona disabile”, fino ad arrivare a “persona con disabilità”. Più di quattro decenni per dividere, attraverso il giusto linguaggio, la persona dalla condizione di cui è portatrice. Abbiamo ancora molta strada da percorrere.

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