12.12.2024
La seduzione e il dongiovannismo nell’epoca del narcisismo online diventano un fenomeno virale e unisex. S’annidano in quelle relazioni fugaci, che svolazzano tra app e siti web. Attraverso i secoli, superando l’immagine del seduttore impenitente, è arrivato fino a noi proponendosi come mito simbolico e cittadino globale. A teatro.
Imbrigliati da una invadenza massmediologica che elabora nuovi modelli, ogni narrazione possiede forza e potenzialità per costruire l’impalcatura di un mito. Con tutta la sua aura di sacralità, mistero ed il potere di fascinazione che dai tempi antichi si proietta all’oggi in declinazione postmoderna. Le incognite esistenziali trovano rifugio nel concetto di Mito, cioè in quelle storie individuali che si fanno paradigma di valori universali, su cui trasferiamo bisogni e aspettative. Ed ecco, far ritorno ciclicamente, mutando forma per rimanere in fondo identica, la figura di Don Giovanni, che da nome proprio, si trasfonde in “dongiovanni”, con le fattezze di un luogo comune. Socializzandosi, come tutti i simboli mitici, dà volto ai grandi nodi dell’essere, in continuo divenire in base al contesto storico, ideologico e poetico. Per coglierne l’essenza sfuggente occorrerebbe andare oltre la lettura banalizzante del seduttore impenitente, perso nella sua avida serialità sessuale di donne da conquistare e collezionare (“Madamina, il catalogo è questo”) e indagare criticamente, invece, i recessi filosofici. Cinico, donnaiolo, adescatore, narcisista, generato dalla fantasia di Tirso de Molina, nel passaggio da Molière alla prodigiosità musicale di Mozart, deve al teatro la costruzione della mitologia del libertino dissoluto.
E quella sua minaccia dirompente di sovvertitore delle regole convenzionali, da un universo sociale all’altro d’ogni stagione e luogo, ha sempre riconfermato il bisogno dell’uomo di esprimere la rigenerazione del tempo e la voglia di libertà. Don Giovanni incarna un mito moderno, tanto da legarsi alla contemporaneità d’una connessione sempre più esplicita di un vivere condizionato (e sollecitato) dalla legge del godimento pulsionale, che dal piano sessuale con tutte le sue declinazioni, trasla all’ossessione del possesso, e s’infiltra nelle pieghe del quotidiano, cozzando con l’odierna consapevolezza maschile della pari dignità di genere.
Nelle spire del libretto di Lorenzo Da Ponte, indirizzate magistralmente dalle note mozartiane capaci di far convivere molteplici realtà psicologiche, prorompe quella concezione (eccolo, il mito, sgravato delle zavorre etico-morali), di erotismo seriale, corteggiamento agonistico, di chi finisce per identificarsi con l’oggetto (leggasi, preda) delle sue conquiste fagocitando le identità altrui per relazionarsi con l’altro sesso. Diventare Don Giovanni, in quel gioco cangiante e ambiguo di continua metamorfosi, così, significa assumere altre sembianze adattabili a tutte le trasformazioni sociali, vera spia dell’oggi privo del limite.
La seduzione ed il dongiovannismo nell’epoca del narcisismo online diventano un fenomeno virale e unisex, s’annidano in quelle relazioni fugaci (proprio come nel catalogo di Sganarello, suo fido servitore), che svolazzano tra app e siti web. Il novello Don Giovanni si diluisce nei social, emblema d’un’idea prestazionale della sessualità, assoggetta alla pulsione e non sublimata dal desiderio, che finisce per precipitare le donne (loro malgrado) nella bulimia della conquista. Una volta sul palco, sullo sfondo di ville palladiane, la dissolutezza sfrenata prossima al vuoto esistenziale si carica delle intonazioni vagamente parodistiche di Arturo Cirillo che richiamano le memorie musicali (assenti) di Mozart, e quelle di Ruccello (pathos), in un gioco di incastri vitali ma autodistruttivi (le donne, umiliate, si riscattano; il rapporto controverso col padre, con l’autorità ed il soprannaturale).
Tra bene e male, piacere e regola, rifiutare la trascendenza, ridicolizzare il cielo e l’inferno, fino all’afflato mortale seguito alla cena con il convitato di pietra, restituiscono l’inafferrabilità di tempi randagi. I nostri. La dissolutezza infernale di Don Giovanni legge il presente.