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Il futuro dell’icona del Salone, tra soddisfazione e miglioramento

26.04.2023

Milano Design Week, un modello in (fiera) amato dai giovani, che detiene il merito di innervare la centralità delle pulsioni metropolitane nel rapporto con il design.

All’abbassarsi del sipario sul Salone del Mobile i quesiti si rincorrono. Prediligere la conferma di connotazioni che si replicano di anno in anno o sottovalutare le modalità che colgono il nocciolo delle cose? La tentazione di farsi blandire dall’inesausta corrente del mito della creatività, illimitata carta di credito per saloni, fiere, festival ed eventi, è diventata un totem che ha per sudditi migliaia di persone. Le stesse (307.000, arrivate da 181 Paesi) che hanno animato i padiglioni fieristici di Rho, il 15% in più rispetto allo scorso anno. Operatori provenienti da tutto il mondo. Dentro il pentolone ribollente seducenti novità (quasi anagramma di vanità) di una Milano vogliosa di riaccendersi di vitalità, con frotte intere a inseguire un programma debordante.

La Milano Design Week ha avuto il merito di innervare la centralità delle pulsioni metropolitane nel rapporto con il design dentro mille sfaccettature. Proponendosi come modello (in fieri) per trattare problematiche complesse, dalla sostenibilità delle metropoli alle questioni ambientali e climatiche, ai processi di produzione, tutt’insieme sul ring di un confronto frastagliatosi in mille eventi. Un fiume in piena di visitatori smarriti che ha esaltato gli arditi e i temerari, premiato i tenaci a dispetto di code, sgomitate, brulichìo incessante di chi voleva esserci (imperativo categorico dei nostri tempi votati all’esibizione). Fantastico, davvero, che il Fuorisalone abbia permesso di riscoprire la bellezza di edifici storici e di esplorare luoghi desueti, se non inaccessibili, con la domanda rimasta inevasa di come e perché palazzi e residenze rimangano per il resto dell’anno nell’alveo della segregazione urbana. Strade animate, ristoranti pieni, allegria e quel senso di festa che penetrava gli allestimenti di architetti e designers, protagonisti loro malgrado di una kermesse che diventava fieristica nell’accezione pura del termine, per sfiorare quella più subdola di baracconata legata all’eccedenza. Eccolo, il punto. Qual è il discrimine tra la rincorsa ai record e ai numeri da ostentare poi, e la riflessione più impegnativa sul ruolo dell’intera città quale hub internazionale per operatori di un settore diversificato e polimorfo come quello del mobile, dell’arredo, della componentistica? Se rimane difficile inquadrare concettualmente l’evento Salone, crediamo che quest’occasione unica di incontro, confronto, scambio commerciale, debba incentivare, al di là della superficie ludico-edonistica, il dato del valore di relazione, per sottolineare tutto quello che succede “attorno” e “per” il patrimonio del design.

Meno eventi celebrativi ed ego-riferiti, e più momenti discreti, riservati, in direzione networking, affinché l’anima esplorativa e tendenzialmente sperimentale di Milano possa riacquistare lo smalto di un tempo attraverso l’itinerario costruttivo di saperi, crescita, valore: questo il messaggio. E se la filosofia della kermesse è quella di rispondere alle sfide della contemporaneità che ci si attivi, allora, per dare sostanza al nuovo ruolo da assegnare alla nozione Salone, per pianificarne progettazione e pianificazione.

È da salutare con favore, in questa edizione, la presenza di Cina, India e Corea, Paesi interessati a quello che più rappresenta il “Made in Italy” nel mondo, quindi l’alta gamma, il lusso e lo stile; e il trend (2022) dell’export italiano, cresciuto in Stati Uniti, dove si è registrato un + 25%, Francia e Germania, dove la crescita è stata di quasi il 10%. Dietro i sorrisi accoglienti, dietro una poltrona, una lampada, e i risultati incoraggianti di una manifestazione unica nel suo genere, permangono le insidie degli investimenti sostenibili, resilienti per affrontare un mercato sempre ondivago, e per favorire progetti virtuosi di sostenibilità sociale ed ambientale. Occorrono figure professionali capaci di accompagnare i processi di trasformazione verso l’economia circolare, la twin transition, sostenibile e digitale. Oltre ad attivare conoscenze su nuovi materiali, principi di ecodesign, waste management, metodi per misurare l’impronta ambientale di prodotti e processi. Inutile attardarsi sulla mancanza di circa 500 espositori rispetto all’edizione 2019, o sulle scelte (forzate?) su qualità e non numero delle presenze negli stand espositivi, o sugli effetti nefasti di pandemia e conflitto nell’area russo-ucraina, o chiudere gli occhi sulle dismetrie del comparto del lavoro che sostiene le aziende (Leggi Federlegno), le stesse che  hanno aumentato i listini prezzi riversandoli sui clienti perché sono aumentate le materie prime, con i lavoratori ancora in attesa di una lieve miglioria salariale. Lacune organizzative, mancanza di condivisione su strategie e tattiche da adottare da parte delle aziende. Carenze nella messa in rete di esperienze, creatività e competenze specifiche, distretti industriali collegati al territorio destinati all’oblio. Tutti fattori che inficiano la saldezza del “Made in Italy” e l’industria del Bello. Chissà se il Salone, al di là dell’aperitivo da sorbire sui Navigli, se n’è accorto.

 

Credito Fotografico:

Inaugurazione al Teatro Alla Scala, Salone del Mobile di Milano

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