Ci risiamo. Evidentemente a qualcuno l’idea che in Italia il trasporto pubblico finalmente inizi a funzionare dà fastidio. Sarà un riflesso pavloviano, un ricordo dei tempi del dopoguerra in cui, per far felice l’industria automobilistica, si smantellavano le linee di tram per far posto alle macchine. Fatto sta che nella legge di Bilancio 2026 sono spariti 50 milioni di euro destinati alla tratta T1, quella che da piazzale Clodio dovrebbe arrivare fino alla Farnesina. Un taglio che il governo definisce “riprogrammazione”, ma che il Campidoglio traduce come l’ennesimo ostacolo a un progetto già complesso. A Roma il futuro della metro C rischia di fermarsi a un passo dal via.
Certo i fondi sottratti sono poca cosa rispetto al totale investito, ma sono quanto basta a creare un problema burocratico che rischia di rallentare in modo consistente il rilancio del ferro proprio nel momento della partenza. “Questa opera è iniziata con i fondi del governo perché è importante per la città”, ha spiegato l’assessore ai Trasporti Eugenio Patanè in un’intervista a Repubblica. “Ma è paradossale che lo stesso esecutivo che ci ha dato i soldi per poterla realizzare, che ha nominato un commissario per accelerare, ora tolga il sassolino che fa crollare tutta la montagna”. E aggiunge: “Non si può dire ‘ecco i soldi’ e poi toglierli una volta che progetti o gare sono fatti”.
Una contraddizione che, oltre a bloccare i cantieri, rischia di compromettere anche i contratti già firmati per il materiale rotabile delle linee B e C. Senza quei fondi, la commissaria straordinaria non può approvare il tracciato né affidare l’opera al contraente generale. In pratica, si mettono a disposizione le risorse, si programmano lavori e convenzioni, e quando tutto è pronto arriva lo stop: “Abbiamo scherzato”.
La linea C è una dorsale strategica della mobilità romana. Collega la periferia est, da Pantano a San Giovanni, e dovrà spingersi fino al cuore monumentale di Roma, con la stazione di piazza Venezia già in costruzione e la prosecuzione verso nord, da Clodio alla Farnesina. È un asse che corre sotto quartieri congestionati come Prati, dove ogni decisione pesa anche sulla qualità dell’aria e sul traffico in superficie. Il rischio, se i tagli non verranno ripristinati, è dover rivedere completamente il cronoprogramma. Inoltre gli scavi dovrebbero ripartire da Clodio invece che da Farnesina, con milioni di metri cubi di terra da trasportare via camion in un quartiere già molto trafficato.
Il caso è diventato politico. Antonio Tajani ha chiesto a Salvini di “fare marcia indietro” e di “convincere Giorgetti a rifinanziare la metro C”, mentre Elly Schlein ha accusato il governo di “litigare su tagli e tasse mentre Roma resta senza fondi”. Dal canto suo, la Lega minimizza parlando di una semplice “riprogrammazione”, ma i fatti raccontano un’altra storia: senza quei soldi, i lavori si fermano. E a pagare il prezzo non è una giunta o un partito, ma una città che ogni giorno perderebbe salute, competitività e qualità della vita.
Eppure, investire nelle metropolitane non è solo una questione di mobilità. Uno studio del Sony Computer Science Lab e dell’Università Sapienza ha misurato l’impatto economico della linea C: +5% di attività economiche nei quartieri serviti, 4.500 nuovi posti di lavoro e un aumento del Pil locale di 60 milioni di euro.
A Centocelle, le microimprese sono quasi triplicate in cinque anni, a Torpignattara ne sono nate 750 in un solo anno. La metropolitana, insomma, è una macchina di sviluppo: riduce il traffico, migliora la qualità dell’aria e fa crescere l’economia di prossimità. Bloccarne i cantieri significa rinunciare a un moltiplicatore di valore che in altre capitali è ormai scontato.
La rete metropolitana romana misura 59,4 chilometri. Berlino ne ha 155, Madrid 296 (oltre 320 includendo la metro leggera), Parigi 225, Londra 402. Come è possibile che l’Italia si rilanci se il governo lascia affondare la capitale?
