In questo momento in Europa c’è un braccio di ferro tra due opzioni, che rappresentano due mentalità. E anche due atteggiamenti verso i beni che una società condivide, come l’aria e lo spazio pubblico. L’attuale braccio di ferro europeo riguarda il Green Deal e cioè la rivoluzione tecnologica in cui siamo immersi.
Conviene provare a chiamarsene fuori, lasciare ad altri il ruolo di apripista? È la posizione del nostro governo, nonché dello schieramento compatto delle destre europee: lasciamo la rivoluzione elettrica alla Cina, noi andiamo avanti con l’usato sicuro. E pazienza se l’aria ci fa tossire un po’ di più: la tecnica del rinvio aiuta a mantenere il consenso. Non a lungo, ma quanto basta a chi governa. La pratica è una variante del Nimby: invece che “non nel mio cortile”, Nimto, Not in my term of office. Rinviare l’innovazione tecnologica vuol dire perdere quote di mercato? Avere domani meno posti di lavoro? Quando ce ne accorgeremo tutti non sarà un problema per chi governa ora.
Ma per la collettività sì. E lo vediamo leggendo la storia della mobilità a Roma e a Milano. Milano ha costruito nel tempo, con gradualità, una buona rete di trasporto pubblico su ferro (metro e tram). Roma ha avuto sbalzi violenti: periodi di grande visione e anni di burocrazia stagnante, con un decennio di giunte Alemanno e Raggi che hanno imbalsamato la città. I risultati di queste scelte opposte li vediamo nella nuova instant survey di Areté, che ha messo a confronto le due città.
A Roma regna l’auto privata: la sceglie il 57% dei cittadini in buona parte perché non può fare altro. La rete metropolitana si è allungata di pochissimo negli ultimi decenni e le alternative – tram, bus, sharing – hanno dovuto fare i conti con le strade congestionate. L’uso dello scooter e delle due ruote motorizzate (7%) mostra la capacità di arrangiarsi: se l’amministrazione pubblica riduce le strade a un ingorgo diffuso i cittadini provano a cavarsela individualmente.
Ora però la giunta Gualtieri ha cambiato rotta con coraggio, ha riempito la città di cantieri per recuperare il tempo perduto, concentrando in pochi anni progetti che altrove hanno richiesto intere generazioni amministrative: un nuovo forte rilancio delle linee della metropolitana, le corsie preferenziali, la trasformazione graduale dei bus in versione elettrica, l’aumento delle piste ciclabili, più spazio ai pedoni. È un cambiamento in corsa, con tutte le difficoltà e le resistenze del caso, ma finalmente visibile.
Milano, invece, raccoglie oggi i frutti di un percorso iniziato decenni fa. La rete metropolitana è arrivata a cinque linee, il trasporto pubblico copre il territorio con una capillarità che si traduce in fiducia: il 77% degli utenti si dice soddisfatto, contro il 28% dei romani. Non è solo questione di efficienza tecnica: è una cultura della mobilità che si è sedimentata nel tempo. Nella città lombarda l’uso dell’auto è sceso al 42%, mentre cresce la combinazione virtuosa tra mezzi pubblici, biciclette ed e-bike. È la cosiddetta “mobilità integrata”: spostarsi non significa scegliere un solo mezzo, ma usare quello giusto al momento giusto.
Eppure anche nella Capitale qualcosa si muove. Sempre più romani guardano con interesse alle nuove forme di mobilità: car pooling, car sharing, e-bike, app di trasporto integrato. L’avvio dei cantieri della linea C, la progettazione della D e il potenziamento del ferro regionale sono segnali di una svolta strutturale. E, in una città in cui la concentrazione di cantieri ha creato difficoltà oggettive, la popolarità del sindaco cresce: segno che se l’obiettivo è chiaro e il vantaggio collettivo pure i romani sono pronti a qualche sacrificio. Un segnale di speranza che va oltre l’orizzonte romano.