08.11.2024
Lavora da sedici anni nel campo della Cooperazione internazionale insieme all’Organizzazione umanitaria CESVI: Isabella Garino è Regional Manager per l’Africa Orientale e cura il coordinamento di progetti di sviluppo e umanitari.
Dopo un mancato viaggio in Tibet, approda al CESVI, riceve una proposta di missione in Somalia e accetta. Siamo tra il 2008 e il 2009, Isabella Garino ha da poco finito un master in Cooperazione internazionale, che tocca anche l’architettura e l’urbanistica, campi familiari a lei, che di formazione è una architetta. Ricorda dell’inesperta apprensione provata verso il viaggio in Somalia, ma «i primi tre mesi mi sono piaciuti tantissimo, ho scoperto un lavoro divertente, stimolante, e anche molto tecnico. Poi mi hanno offerto la possibilità di rimanere in Somaliland e lì comincia il mio vero percorso».
Il CESVI è una delle più importanti Organizzazioni non governative italiane, fondata a Bergamo nel 1985. Da allora lavora attivamente in Italia e in tutto il mondo, grazie all’azione di centinaia di operatori e operatrici. Il suo nome, crasi delle parole “Cooperazione”, “Emergenza” e “Sviluppo”, riflette i concetti alla base del codice etico e della mission dell’Organizzazione. La storia di Isabella Garino come cooperante inizia e prende forma proprio con CESVI, con cui sente da subito un «reciproco entusiasmo». In un percorso lungo sedici anni, la sua posizione si è trasformata e ha vissuto una crescita. Ha trascorso i primi anni sul field, sul campo, passando dalla Somalia al Sud Sudan e poi al Kenya. Oggi vive a Nairobi, lavora all’interno dell’Ufficio Regionale di CESVI e ricopre il ruolo di Regional Manager per l’Africa Orientale. «Ho visto comunità e contesti diversi, vivevo sul campo i progetti di sviluppo e umanitari, all’inizio era uno ruolo molto tecnico, in cui stavo a diretto contatto con le comunità». Adesso si occupa del coordinamento di quattro Paesi, il Kenya, la Somalia, l’Uganda e l’Etiopia, nei quali, per mezzo di un Ufficio Paese guidato da un Head of Mission e il suo team, vengono implementati vari programmi, finanziati dai donatori. Il contatto con la comunità locale è un elemento ancora e sempre presente: «sono spesso progetti lunghi, che hanno lo scopo di sviluppare la resilienza delle comunità stesse. Sul campo o negli Uffici, non c’è un approccio top down ma sempre un lavoro di contatto con le comunità». Un grosso e importante progetto a cui lavora attualmente, ad esempio, riguarda la lotta alla malnutrizione, è finanziato da UNICEF in Somalia e ha l’obiettivo di portare servizi di nutrizione per bambini e donne.
«Il mestiere del cooperante è molto totalizzante» spiega, «ci vuole resilienza e capacità di adattamento, si è sempre attivi e reperibili» e questo vale ancora di più quando si è stabili sul field, dove tutto è chiaramente più intenso. Dal lavoro sul campo ha imparato soprattutto l’umiltà, «da giovani si fa molto campo e all’inizio si pensa di sapere già tutto, invece con il tempo si capisce che c’è tantissimo da imparare, ci vuole realismo». E poi ci sono la curiosità e la pazienza, e tanto studio: questi aspetti l’hanno aiutata negli anni a fare bene il suo lavoro.
Chiedo se le manca vivere in Italia e come è stato adattarsi a una cultura così diversa. «Per adesso no. Torno a trovare i miei famigliari circa una volta l’anno. Io sento la mia identità italiana, ma con un orizzonte allargato e la conoscenza di diverse culture. Quando sono arrivata nel 2008, da questo punto di vista è stato difficile perché è stato un percorso, quello di entrare in una nuova cultura. Ma io sto bene qui a Nairobi. È una città multiculturale e io mi sento parte di questa multiculturalità».