03.12.2023
Esperti di psicologia e scienze cognitive rivelano quanto un autoscatto fotografico possa trasmettere messaggi, spesso involontariamente, molto particolari sulla nostra personalità. Ogni gesto, ogni segno ha un significato ben preciso. Una vera e propria “semantica dei selfie”. I giudizi in cinque diverse macrocategorie.
Il selfie appare come una delle attività più naturali e istintive che il nostro presente ci offra. In fondo si tratta solo di puntare verso di noi una fotocamera e immortalarci in un’espressione più o meno naturale e genuina. Ebbene, proprio quest’ultimo dettaglio in realtà nasconde molti più aspetti su noi stessi di quanto possiamo pensare. Recenti studi certificano, infatti, che la nostra espressione è un vero e proprio biglietto di presentazione della nostra personalità.
Della questione hanno deciso di occuparsi Tobias Matthias Schneider e Claus-Christian Carbon, che lavorano all’Università di Bamberg (Germania) come esperti di psicologia e scienze cognitive. La loro attenzione si è recentemente concentrata sulle facce che le persone decidono di fare durante un autoscatto fotografico e i messaggi che trasmettono, spesso involontariamente o quantomeno inconsapevolmente. Una vera e propria “semantica dei selfie”, talmente interessante da meritare la pubblicazione sulla rivista Frontiers of communication.
Un’espressione molto seria, un sorriso autentico o uno forzato, smorfie, linguacce, tentativi di risultare sensuali: ognuna di queste scelte dà un’indicazione più o meno precisa alla scienza. Non solo: anche il modo in cui il nostro viso è inclinato rispetto alla fotocamera può influenzare la percezione di chi guarderà l’immagine che scatteremo. Noi stessi, certamente, ma anche il prossimo.
Il tutto deriva dall’aiuto di 132 volontari, che si sono messi a disposizione dei due professori per raccontare le impressioni che generava loro la vista di 15 selfie scelti casualmente in un archivio che ne comprendeva 1001. Per ogni immagine bisognava riempire cinque caselle di testo in maniera completamente libera: si potevano utilizzare frasi complete o anche singole parole.
Il risultato è che il modo di giudicare i selfie presenta una base condivisa, almeno per quanto riguarda persone che appartengono alla stessa cultura.
I giudizi sono stati catalogati in cinque diverse macrocategorie (aspetto estetico, stato d’animo, tratti della personalità, psicologia e immaginazione), e i commenti dei volontari hanno dimostrato che immagini simili generano commenti che ricadono nella stessa categoria.
Chi, per esempio, si è fotografato in pose particolari, o con pettinature o trucchi non consueti, ha generato commenti sul piano dell’estetica. Chi invece ha dato più spazio al panorama (un paesaggio suggestivo o un particolare monumento) ha scatenato la sfera dell’immaginazione. I volontari hanno infatti provato a ipotizzare di che cosa si occupi nella vita di ogni giorno la persona nella fotografia.
In altre parole: ciò a cui diamo importanza in un selfie viene percepito come importante anche da chi lo guarda. Tanto da scatenare ipotesi anche sulla nostra personalità, il nostro umore, addirittura la nostra occupazione. E anche se la cultura di riferimento ha un altissimo impatto sul giudizio che possiamo dare a una fotografia, i segnali che quest’ultima dà di noi sono in grado di superare le nostre stesse intenzioni. Anche quelle inconsapevoli.