24 Giugno 2025
/ 24.06.2025

Il martello di Trump ha scosso l’economia, ora la Casa Bianca annuncia la pace

In nottata è arrivato l’annuncio di Trump: "Concordata una tregua di 12 ore e dopo sarà la fine del conflitto". L’azione militare degli Stati Uniti contro l’Iran ha fatto tremare anche i mercati energetici mondiali. La minaccia sullo Stretto di Hormuz e la vulnerabilità delle infrastrutture iraniane potrebbero innescare uno shock energetico globale

La missione “Midnight Hammer” (Martello di mezzanotte), ha rappresentato un azzardo strategico che potrebbe definire la presidenza Trump. Nella notte il presidente americano ha annunciato la pace tra Iran e Israele: una tregua di 12 ore e poi la fine del conflitto. E il vicepresidente Vance ha detto che “è finita la guerra dei 12 giorni”. Se la tregua, ancora non confermata ufficialmente dalle due parti (ma Teheran ha accettato l’accordo se si fermano gli attacchi), reggerà, si dovrebbe trasformare in uno stop alla guerra. Altrimenti la risposta militare contro il personale civile e i 40.000 soldati americani dispiegati nella regione potrebbe trascinare gli Stati Uniti in un conflitto aperto, in contraddizione con la promessa di Trump di evitare nuove guerre, in nome della politica “America First”.

Fino a ieri la Repubblica islamica aveva risposto con messaggi minacciosi: nelle piazze si gridava “vendetta”, mentre gli attacchi tra Israele e Iran proseguivano, con decine di feriti registrati tra Tel Aviv e Haifa. E missili contro le basi americane in Qatar e Iraq.

Ieri Teheran ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, dove si è consumato lo scontro diplomatico tra Stati Uniti e Israele da un lato, e Russia, Cina, Iran e Pakistan dall’altro. Preoccupante anche la minaccia ventilata dal Parlamento iraniano di chiudere lo Stretto di Hormuz, attraverso cui passa circa un quarto del traffico mondiale di petrolio e un terzo di quello di gas naturale. Un’eventuale chiusura che provocherebbe un’impennata dei prezzi dell’energia a livello globale.

Non è la prima volta che un conflitto mediorientale scuote i mercati petroliferi globali. Durante la crisi energetica del 1979, i prezzi del greggio raggiunsero livelli tali da provocare un forte shock economico globale. L’attuale situazione presenta rischi simili, con potenziali ripercussioni sulla stabilità finanziaria e sull’equilibrio geopolitico, specialmente in Europa, dipendente dalle importazioni energetiche.

Lo Stretto di Hormuz: nodo cruciale per l’energia mondiale

Hossein Shariatmadari, propagandista vicino all’ayatollah Ali Khamenei, nei giorni scorsi ha proposto di sbarrare il passaggio alle navi “americane, britanniche, tedesche e francesi”. “Bloccare lo Stretto di Hormuz sarebbe un atto suicida per l’Iran. Sarebbe più logico che tornassero al tavolo dei negoziati per abbandonare il programma nucleare”, ha suggerito il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance. 

La minaccia iraniana di bloccare lo Stretto rappresenta un rischio per la stabilità dei mercati energetici. Secondo le analisi di esperti internazionali, un’interruzione delle forniture potrebbe far schizzare il prezzo del petrolio con incrementi immediati di almeno 5 dollari al barile e potenziali picchi superiori ai 100 dollari in un contesto di escalation prolungata.

Attraverso lo Stretto di Hormuz passa circa il 20% delle forniture mondiali di greggio – fra gli altri, quelle di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Iraq e Iran – più oltre il 10% del gas naturale, incluso quello del Qatar diretto in Italia. L’aumento dei prezzi del petrolio si tradurrebbe direttamente in maggiori costi per carburanti e gasolio, con ricadute sulle bollette energetiche e sui costi di trasporto. Le compagnie aeree, ad esempio, dovrebbero fare i conti con costi di esercizio più elevati, che inevitabilmente si rifletterebbero sui consumatori. Inoltre, l’instabilità geopolitica tenderebbe a rafforzare il valore di beni rifugio come oro e dollaro, contribuendo ad alimentare un clima di incertezza economica.

Guerra psicologica

La strategia di Teheran non implica necessariamente la chiusura formale dello Stretto: basta renderne il passaggio insicuro, come già accaduto il 15 giugno, quando due petroliere — la Front Eagle, battente bandiera delle Isole Marshall, e la Adalynn, registrata a Panama — sono entrate in collisione nelle acque del Golfo di Oman, non lontano dallo Stretto di Hormuz.

In uno spazio marittimo così congestionato, dove ogni errore di rotta può provocare disastri, alterare le coordinate di una petroliera equivale a creare un fattore di caos tangibile, come sottolinea L’Inkiesta che riporta l’analisi di Windward, società specializzata in monitoraggio marittimo, secondo la quale nei giorni precedenti centinaia di navi nella zona hanno registrato anomalie con posizionamenti virtuali errati in località come Bandar Abbas o addirittura in pieno deserto.

Gli esperti parlano di spoofing — ovvero la trasmissione di coordinate GPS false — e di jamming, interferenze che oscurano i segnali reali. Secondo dati diffusi dal Joint Maritime Information Center, queste operazioni sarebbero partite proprio dall’area costiera iraniana. 

Traffici in tilt

Sempre secondo il Joint Maritime Information Center, il numero di imbarcazioni che navigano nello Stretto di Hormuz sembra essere in calo, a fronte dei crescenti timori di un conflitto in espansione in Medio Oriente. Jakob Larsen, responsabile della sicurezza di Bimco, che rappresenta gli armatori globali, ha affermato che tutti gli armatori stanno monitorando attentamente gli sviluppi nella regione e alcuni hanno già sospeso i transiti nello Stretto di Hormuz a causa del deterioramento della situazione della sicurezza. 

Andy Critchlow, responsabile delle notizie per l’area Emea di S&P Global Commodity Insights, ha sottolineato che alcune prove aneddotiche suggeriscono un rallentamento della navigazione attraverso lo Stretto di Hormuz in seguito agli attacchi statunitensi a Fordo, Natanz e Isfahan. “Il ritmo con cui le petroliere entrano nello Stretto di Hormuz è decisamente rallentato. Abbiamo ricevuto indicazioni dagli armatori che stanno mettendo petroliere e navi in stand-by, quindi stanno aspettando il momento opportuno per entrare nello Stretto”, ha detto a ‘Europe Early Edition’ della Cnbc. “Allo stesso tempo, ci sono state segnalazioni secondo cui i fornitori di Gpl, ad esempio, nel Golfo hanno detto ai caricatori di gas liquefatto di attendere prima di entrare, in modo da non sostare nel Golfo e tenere le navi fuori da quella regione”.

L’informativa della premier Meloni

Nel corso dell’informativa resa in vista del Consiglio Ue del 26 e 27 giugno, la premier Giorgia Meloni ha detto: “L’acuirsi della crisi genera, ovvio, molta preoccupazione, per le possibili ripercussioni in tutto il Medio Oriente e oltre. Stiamo vagliando le ipotesi di risposta da parte iraniana e in particolare stiamo monitorando Hormuz, uno stretto strategico per le economie globali, capace di condizionare il prezzo del petrolio e dell’energia a livello mondiale. Ma, in ogni caso, ci siamo già occupati di assicurare all’Italia gli approvvigionamenti necessari”. 

Chi paga le conseguenze

“La condizione di tensione crescente in cui ci troviamo- afferma Alessandro Volpi, docente di Storia contemporanea e Storia della globalizzazione presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa – alimenta una dinamica speculativa in cui guadagnano soltanto i grandi fondi finanziari di investimento, ossia i grandi azionisti che operano sui mercati energetici e gestiscono l’andamento dei prezzi delle materie prime, a partire da petrolio e gas naturale”.

Secondo il docente, interpellato dall’agenzia Dire, questa dinamica speculativa, determinata dalla minaccia della chiusura di Hormuz, è tuttavia “gestibile” e non è “niente in confronto al disastro che provocherà il blocco dello stretto”. A quel punto, “il petrolio mondiale subirà un’interruzione del 20/25% e allora saremo di fronte a un rischio concreto di paralisi dell’economia, con l’impennata dell’inflazione”, qualcosa di “simile alla crisi del 2021”, quando per effetto della pandemia di Covid, si ridusse la produzione di beni e quindi del commercio su scala globale, causando il crollo del prezzo delle materie prime e, a seguire, inflazione e recessione.

La crisi che si profila oggi “danneggerà soprattutto i cittadini europei”, continua il docente, “perché i nostri Paesi consumano e quindi importano tanta energia”. A risentirne, con corposi aumenti in bolletta, saranno “le famiglie, le imprese e le fasce più deboli della popolazione”. Si assisterà al tempo stesso a un impoverimento del potere d’acquisto, soprattutto per chi non vedrà i propri salari adeguati all’aumento dell’inflazione. Un problema che riguarda decisamente l’Italia”, dove da tempo varie sigle di categoria avvertono che i salari sono bloccati e non adeguati all’inflazione, e dove “paradossalmente, il meccanismo di indicizzazione dell’inflazione non tiene conto dell’aumento dell’energia”, spiega il docente.

Prospettive geopolitiche e diplomatiche

La risposta iraniana potrebbe intensificare l’instabilità regionale, non solo tramite l’uso diretto di missili ma anche attraverso i ribelli Houthi nello Yemen. Sul piano internazionale, la condanna da parte di Russia, Cina e Unione Europea rende complessa un’escalation incontrollata, aprendo spazi diplomatici per tentativi di negoziazione. Tuttavia, l’attacco rischia di compromettere qualsiasi possibilità di rientro dell’Iran nell’accordo nucleare, irrigidendo le posizioni.

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