29.05.2024
Terzo del continente per le riserve di gas dopo Nigeria e Algeria, il Mozambico continua a essere vittima delle sue abbondanze. Con il tempo la sua ricchezza si è trasformata in un elemento di disuguaglianza che alimenta la guerra civile. Cosa nasconde questo vortice di violenza che sentiamo l’obbligo di fermare? Approfondimenti e cronaca.
Dal punto di vista delle risorse naturali, il Mozambico è certamente un Paese ricco, terzo nel continente per riserve di gas dopo Nigeria e Algeria. Un’abbondanza, questa, che ha attirato l’interesse di molte multinazionali energetiche, ma che si intreccia pericolosamente con i conflitti interni e ha un risvolto umano non trascurabile: lo sfruttamento delle risorse sta portando a un’escalation di violenza e guerra civile nella zona settentrionale del Paese, generando migliaia di morti.
Negli ultimi anni, il Mozambico è infatti devastato da un conflitto che, sebbene venga descritto come una lotta contro il terrorismo islamico, nasconde una guerra civile. E l’attacco a Macomia, che ha visto i jihadisti riprendere a colpire i centri urbani dopo un periodo di relativa calma, ha segnato un punto di svolta in questo scenario, riportando la guerriglia su scala regionale.
Ma come si intrecciano le due vicende? Per comprendere a fondo la dinamica, è necessario fare un salto indietro nel tempo, a quando i potenti del Sud del Paese si sono impossessati del controllo delle risorse del Nord, lasciando la gioventù locale senza prospettive. Un vuoto, questo, che è stato riempito da un’insurrezione scoppiata nel 2017, che nel giro di 3 anni ha portato il gruppo di Al-Shabaab a conquistare Mocimboa da Praia e Palma.
Ma il 2017 è anche l’anno in cui le principali compagnie energetiche hanno firmato i contratti per l’estrazione di gas con il governo mozambicano. Dunque, pur non essendo la causa diretta del conflitto, l’industria dei combustibili fossili ha accelerato il disfacimento sociale della regione: a evidenziarlo era già stato un rapporto sui diritti umani pubblicato da TotalEnergies nel 2024, che aveva messo in luce come la frustrazione delle comunità locali, aggravata dall’espansione dell’industria estrattiva, stesse alimentando l’insurrezione.
E adesso che il conflitto si sta inasprendo, con la città di Cabo Delgado che a inizio maggio è stata presa d’assalto da un gruppo armato legato allo Stato islamico, il rischio è che anche i siti d’estrazione possano diventare bersagli di attacchi terroristici. Una situazione, questa, che sottolinea la necessità di affrontare le radici sociali del conflitto: il Mozambico, attualmente, si trova a un bivio, con la ricchezza delle sue risorse naturali che rappresenta un’opportunità economica significativa ma che con la mancanza di una gestione equa e sostenibile sta accelerando la guerra civile in corso. E senza un intervento mirato che risolva le disuguaglianze sociali, l’estrazione delle risorse continuerà ad essere una scintilla che accende la guerra.