3 Ottobre 2024
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Cronaca, Giustizia, Sport

Il numero 1 di nuovo nel mirino

29.09.2024

Jannik Sinner con il trofeo Norman Brookes Cup.

L’Agenzia Mondiale Antidoping trova un possibile sentiero legale per arrivare alla sospensione di Sinner. Non contesta le modalità con cui il Clostebol è entrato nel suo organismo, ma, accettando la contaminazione accidentale, punta su altro. Il tribunale di primo grado aveva stabilito che non lo sapeva. Le complicazioni.

La Vicenda Clostebol non è ancora terminata. Con una mossa a sorpresa, l’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) ha presentato ricorso contro la sentenza di primo grado, che lo scorso agosto aveva decretato l’assoluzione di Jannik Sinner per la doppia positività dello scorso marzo, quando nel suo organismo furono trovate tracce infinitesimali (quantificabili nel miliardesimo di grammo) di Clostebol, steroide anabolizzante vietato dalle norme antidoping. Fu accettata in toto la versione della difesa, secondo cui la contaminazione sarebbe avvenuta tramite il massaggio dell’ex fisioterapista Giacomo Naldi, che in quei giorni aveva utilizzato il Trofodermin (medicinale contenente il Clostebol) per curare una ferita al dito. Il tribunale di primo grado aveva stabilito che il numero 1 del mondo non sapesse, e nemmeno potesse sospettare, che la sostanza vietata si trovasse nell’appartamento in cui lui e il suo staff hanno alloggiato durante il torneo di Indian Wells. Le argomentazioni della difesa avevano convinto i giudici ad applicare l’articolo 10.5 del Tennis Anti Doping Program (TADP), secondo il quale non si applica nessuna squalifica se viene riscontrata “assenza di colpa o negligenza” da parte del giocatore. La decisione poteva essere appellata dalla WADA e dall’agenzia antidoping nazionale dell’atleta (in questo caso, NADO Italia). Dopo aver analizzato la documentazione completa, la WADA ha scelto di ricorrere al CAS di Losanna, una sorta di cassazione mondiale dello sport. Il comunicato fornisce un dettaglio interessante: WADA non contesta le modalità con cui il Clostebol è entrato nell’organismo di Sinner, accettando la contaminazione accidentale, ma punta su altro.

«La WADA ritiene che la conclusione di ‘nessuna colpa o negligenza’ non sia corretta ai sensi delle norme applicabili – scrive il comunicato – dunque chiede un periodo di ineleggibilità compreso tra 1 e 2 anni. La WADA non chiede la squalifica di nessun risultato, salvo quello che è già stato imposto dal tribunale del primo grado». In sintesi, a Sinner sarà contestata la responsabilità oggettiva. Le norme antidoping, infatti, attribuiscono all’atleta la responsabilità di qualsiasi colpa e/o negligenza del suo staff. Leggendo la sentenza di primo grado, in effetti, la catena di eventi che ha portato alla contaminazione lascia intendere una serie di errori e leggerezze da parte dell’ex preparatore atletico Umberto Ferrara (colui che acquistò il medicinale incriminato e lo portò negli Stati Uniti) e del fisioterapista Giacomo Naldi, che lo utilizzò prima di massaggiare il giocatore. Sin dall’inizio sembrava evidente che il punto di maggiore debolezza della sentenza fosse proprio questo: i giudici si sono focalizzati sul merito, senza premere l’acceleratore su complicate faccende di diritto (il TADP è volume di 131 pagine, mentre il Codice Mondiale Antidoping ne ha 184).

Se la WADA ha scelto di fare ricorso, dunque, è possibile che abbia trovato un possibile sentiero legale per arrivare una sospensione: a nostro avviso, se questo dovesse accadere, non supererebbe i pochi mesi. Semmai è giusto sottolineare un aspetto: senza mettere in discussione la formale correttezza del ricorso, il compito istituzionale della WADA è quello di combattere il doping. Francamente, non sappiamo se un ricorso di questo tipo – e su queste basi – fosse una priorità per la lotta a qualsiasi tipo di frode sportiva. Tempistiche? Salvo pressioni per arrivare rapidamente a sentenza, solitamente il verdetto arriva dopo qualche mese. Vedremo.

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