20 Ottobre 2025
/ 20.10.2025

Il papa: “La fame usata come un’arma è un crimine di guerra”

Denuncia del pontefice contro chi affama intere popolazioni. Intanto nella Striscia l’assedio alimentare non si placa: il cibo è strumento di pressione militare

Un “crimine di guerra”. La definizione, netta e senza appello, è arrivata da papa Leone XIV in occasione dell’80° anniversario della Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Il pontefice ha puntato il dito contro l’uso deliberato della fame come arma, denunciando che il consenso internazionale sull’eliminazione di questa pratica “sembra allontanarsi sempre più”. L’obiettivo Fame Zero — il programma globale che mira a eliminare la fame nel mondo entro il 2030 — non si può raggiungere con “solenni dichiarazioni”, ha ammonito, ma solo con una reale volontà d’azione.

Un monito che trova riscontro immediato nella Striscia di Gaza. Qui, a dieci giorni da un cessate il fuoco già fragilissimo, il cibo è tornato a essere ostaggio della guerra.

La tregua che non tiene

Il cessate il fuoco entrato in vigore il 10 ottobre ha già subito la sua prima grande prova domenica scorsa. Le forze israeliane hanno lanciato un’ondata di attacchi aerei che hanno ucciso almeno 45 palestinesi, secondo l’agenzia di protezione civile di Gaza. L’esercito israeliano giustifica l’operazione come risposta a un attacco di Hamas contro le truppe impegnate nello “smantellamento delle infrastrutture terroristiche” a Rafah, in cui sono morti due soldati israeliani — le prime vittime israeliane dalla tregua.

Ma è il gesto successivo a rivelare la strategia: un funzionario della sicurezza israeliana ha annunciato la sospensione “fino a nuovo avviso” del trasferimento degli aiuti umanitari nel territorio. Solo lunedì, dopo che l’esercito ha dichiarato di aver “ripreso a far rispettare” la tregua, si è parlato di una ripresa delle consegne.

L’ala armata di Hamas ha respinto ogni responsabilità per gli scontri a Rafah, dichiarando di non essere in contatto con i gruppi locali “da marzo” e di restare “fedele all’accordo”. Nel frattempo, lunedì mattina altri due palestinesi sono stati uccisi da colpi d’arma da fuoco israeliani nel quartiere di al-Tuffah, a Gaza City.

Secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza, dall’inizio del cessate il fuoco Israele ha ucciso almeno 97 palestinesi e ne ha feriti 230, violando l’accordo di tregua 80 volte.

Gli aiuti come leva politica

La condanna di Leone XIV si radica nello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, che classifica l’atto di affamare i civili come crimine di guerra. Gaza rappresenta oggi il paradigma di questa violazione.

La sospensione degli aiuti domenica scorsa non è un episodio isolato. Le agenzie umanitarie denunciano da mesi l’uso sistematico del blocco alimentare come strumento di pressione: fonti internazionali riportano che Israele condiziona l’ingresso degli aiuti al rilascio dei corpi degli ostaggi e ad altre concessioni da parte di Hamas.

Il risultato è un’emergenza sanitaria senza precedenti. I rapporti Onu indicano un aumento esponenziale della malnutrizione acuta tra i bambini. Investigatori internazionali hanno concluso che l’uso della fame, attraverso l’assedio totale della Striscia, fa parte di una “campagna genocida”. Con l’80% degli edifici distrutti e la popolazione sull’orlo della carestia, ogni sospensione degli aiuti si traduce in sofferenza diretta.

La diplomazia americana in campo

Washington prova a salvare la tregua che ha mediato. L’inviato speciale Steve Witkoff e Jared Kushner, genero di Donald Trump operativo come emissario in Medio Oriente, sono attesi in Israele. Anche il vicepresidente J.D. Vance potrebbe arrivare nei prossimi giorni. Gli osservatori leggono la missione come un “chiaro tentativo di far rispettare a Israele l’accordo firmato in Egitto”.

Kushner, parlando alla CBS News, ha dichiarato che “Israele deve aiutare i palestinesi a prosperare se vuole integrarsi nel Medio Oriente”, aggiungendo che Hamas “cerca di onorare l’accordo”. Trump, dal canto suo, domenicaha minimizzato: Hamas è stata “piuttosto turbolenta”, la violenza potrebbe essere colpa di “ribelli interni”. Non ha detto se gli attacchi israeliani fossero giustificati: “La questione è in fase di revisione”.

Contatti “24 ore su 24” sono in corso per disinnescare la situazione, mentre le potenze regionali si affannano per rafforzare il cessate il fuoco, ha affermato un alto funzionario egiziano. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato all’esercito di adottare “misure severe” contro qualsiasi violazione, ma non ha minacciato di tornare in guerra.

Il costo morale

L’attivista MihranKalaydjian, scrivendo su The Times of Israel, pone una questione scomoda: la sicurezza a lungo termine di Israele “non dipende dal dominio, ma dalla riscoperta della sua bussola morale”. Secondo Kalaydjian, la strategia della punizione collettiva, giustificata come autodifesa, rischia di distruggere i valori della società che dice di proteggere.

Un popolo intero è intrappolato in un ciclo di paura e macerie. Le nazioni occidentali, spesso complici nell’armare politiche controverse, devono affrontare l’ipocrisia delle dichiarazioni di “preoccupazione” che suonano vuote. La pace non è l’assenza di nemici, ma la presenza della giustizia. Garantire un accesso umanitario non negoziabile è il primo passo per scongiurare l’accusa di un fallimento morale che non può essere mascherato da slogan. Senza coesistenza, non c’è futuro.

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