“Non dobbiamo abituarci alla guerra”. L’ha detto papa Leone XIV davanti a migliaia di fedeli raccolti in piazza San Pietro ieri, durante l’udienza generale. Un monito secco, rivolto a un mondo che pare sempre più anestetizzato di fronte alla violenza dei conflitti. La guerra, ha detto il papa, non è mai qualcosa da accettare con rassegnazione. E non è nemmeno un male necessario: “La guerra è sempre una sconfitta”.
Il pontefice ha puntato il dito contro la corsa agli armamenti, definendola una deriva pericolosa e insidiosa: “La tentazione di fare ricorso ad armamenti potenti e sofisticati deve essere respinta”. Un’esortazione che arriva in un momento in cui molti governi investono somme colossali in arsenali tecnologici, mentre la diplomazia arranca. E poi, con lo sguardo rivolto alla crisi ucraina, al Medio Oriente, ai rischi di escalation tra Iran e Israele, ha ricordato che “è dovere di tutti i Paesi sostenere la causa della pace, avviando percorsi di riconciliazione e promuovendo soluzioni che garantiscano sicurezza e dignità per tutti”.
Il pontefice ha anche ribadito l’urgenza di un disarmo responsabile, evocando uno degli snodi più drammatici della storia contemporanea: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”: è la celebre frase di Papa Pio XII, pronunciata nel 1939 pochi giorni prima dell’invasione della Polonia, che Leone XIV ha voluto rievocare come ammonimento alla comunità internazionale.
Un richiamo ai leader delle potenze nucleari
In meno di venti minuti di discorso, papa Leone XIV ha lanciato un messaggio diretto non soltanto ai governi, ma anche ai cittadini, ai media, alla società civile. Un appello a non normalizzate la violenza, a non assuefarsi. Ha infine lanciato un’ultima riflessione, rivolta in particolare ai leader delle potenze nucleari: “L’impegno per costruire un mondo più sicuro, libero dalla minaccia nucleare, va perseguito attraverso incontri rispettosi e dialogo sincero, per edificare una pace duratura, fondata sulla giustizia, la fraternità e il bene comune”.
È ovvio che la dimensione spirituale e religiosa sia il centro del messaggio del papa. Tuttavia il suo appello contiene un invito che può risuonare anche nel mondo laico. I nodi da sciogliere sono due: la logica dell’escalation e quella della demonizzazione del nemico. Subito dopo la seconda guerra mondiale abbiamo sperimentato l’una e l’altra. C’è stata la corsa agli armamenti e quella a descrivere il fronte avverso con tratti caricaturali.
La crisi del 1962
Si è arrivati così al 1962, alla crisi dei missili a Cuba, e il mondo è stato a un passo dal conflitto nucleare, con le navi sovietiche che muovevano verso Cuba e il veto della Casa Bianca al loro avvicinamento. Allora però esistevano canali negoziali paralleli alle dichiarazioni ufficiali e al vertice dei due Stati c’erano leader in grado di cogliere la complessità della situazione, le sfumature storiche e le possibili aree di mediazione. Il racconto era quello dell’aggressione sovietica che voleva piazzare missili balistici a 140 chilometri dalle coste degli Stati Uniti. Ma c’era anche la consapevolezza che quella crisi era figlia dell’installazione di missili PGM-19 Jupiter in basi in Italia e Turchia e alla fallita invasione americana di Cuba alla baia dei Porci.
Alla fine fu raggiunto un accordo che permise di decongestionare la pressione sui due fronti, vicino alle frontiere Usa e vicino alle frontiere dell’Urss. Quella crisi portò alla creazione della linea rossa tra la Casa Bianca e il Cremlino, cioè di un canale rapido e privilegiato per risolvere le emergenze. Un atto di intelligenza politica che ha poi messo fine della guerra fredda e ha permesso il parziale smantellamento degli arsenali nucleari.
Oggi le opzioni sono due: invertire la rotta, lanciare una stagione di riarmo globale in un’epoca in cui le armi nucleari sono in mano a molti Paesi; ed è quello che sta avvenendo. Oppure trovare un nuovo modello di equilibrio che tenga conto del passaggio da un mondo bipolare a un mondo multipolare. Multipolare dal punto di vista politico e della forza militare. Ma anche sotto il profilo delle minacce. Il Covid ci ha fatto sperimentare cosa significa una pandemia oggi, e l’abbiamo assaggiata con un virus a bassa mortalità. Non abbiamo disinnescata nessuna delle cause che hanno portato a quella pandemia (allevamenti intensivi, deforestazione, salto di specie del virus) dunque potrebbe ricapitare da un momento all’altro in forma peggiore.
Poi c’è la crisi climatica che non è una probabilità ma un danno in essere che continua a peggiorare, aumentando migrazioni di massa e instabilità sociale che a loro volta fanno crescere il rischio di conflitti.
La pace è un’aspirazione alta, filosofica e spirituale. Difficile da raggiungere. Però lavorare per avvicinarsi a quell’obiettivo invece che per allontanarsi è non solo possibile ma necessario.