08.04.2024
“Neoruralismo” e “Campagne globali”, aumentano i concetti di interconnessione con le aree urbane. Le nuove forme di comunicazione, l’utilizzo di migranti, lo sviluppo del turismo rurale hanno reso la campagna una realtà ibrida; sovversiva, ma ben inserita.
Negli ultimi cinquant’anni, dal 1970 al 2020, in Italia si sono persi cinque milioni ettari di terra coltivata. Dove sono spariti? Parte di questo terreno agricolo è stato abbandonato perché disagevole per l’agricoltura, una parte di esso è stato occupato da edificazione, un’altra ancora non emerge dalle statistiche. Quest’ultima porzione rientra in quelle forme che potremmo definire “informali” di utilizzazione del suolo in ambito agricolo. Gli studi condotti dall’Università di Perugia e guidati dall’antropologa Cristina Papa, presentati in un convegno al quale ha partecipato Michael Herzfeld, antropologo dell’Università di Harvard, hanno fatto emergere interessanti aspetti del “neoruralismo”.
Il confronto dell’etnografia e della ricerca qualitativa con i singoli soggetti, grazie alle interviste in profondità, è stato utile per comprendere alcune ragioni del fenomeno, oltre ogni ipotesi di superficie. Città e campagna sono entità sempre più connesse tra loro, con esperienze non perfettamente allineate al modello agroindustriale. Si tratta di esperienze non formalizzate, oppositive, se non, addirittura, sovversive, in vista di un orizzonte che preveda un modo di produrre e consumare diverso. Per rendere l’auspicabile transizione del “Green New Deal” sempre più sostenibile, occorre analizzare connessioni e contraddizioni che spesso non arrivano alla notorietà.
Il termine “neoruralismo” è stato coniato per evidenziare una sempre maggiore interconnessione tra le aree urbane e la campagna, l’attenzione alle pratiche agricole, alla coltivazione, all’abitare. Un’attenzione alla ruralità che, in passato, era, invece, andata perduta. Mentre questi singolari spazi e queste pratiche riconquistano, silenziosamente, terreno in città, anche le campagne sono sempre meno marginali perché soggette ai meccanismi della globalizzazione. Il concetto di “campagne globali”, proposto dal geografo Michael Woods, evidenzia come esse non siano più un luogo remoto e lontano dal mondo, ma intrecciato inevitabilmente con la società globale. Le nuove forme di comunicazione, l’utilizzo di migranti nelle varie attività, lo sviluppo del turismo rurale, le rendono aree ibride e ben inserite in questi processi. Di “arcaismi sovversivi” nel mondo si occupa Herzfeld. «Sono quelle tattiche delle persone che – ci spiega lo studioso – si trovano in minoranza dinanzi allo Stato o a un’altra organizzazione del potere e che trovano il modo di resistere».
Si utilizza il discorso dello Stato come contro-narrazione, soprattutto in relazione ai temi della tradizione e del patrimonio nazionale, temi che fanno riferimento al passato remoto e che potrebbero essere strumentalizzati per esprimere forme di controllo. «Avendo capito la modalità attraverso cui lo Stato si esprime e cerca di compattare la popolazione dietro il suo programma – aggiunge – le persone provano a usare lo stesso discorso per prendere le distanze e per proteggere diverse pratiche che, spesso, non sono nemmeno legali».