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Musica

Il rock romano spolvera l’epoca d’oro

13.03.2024

«Ci siamo e a 51 anni dall’uscita del nostro primo album vogliamo guardare avanti. Insomma, musica non solo per orecchie Prog.». Sono le parole colme di vita del batterista Paolo Faenza, mentre annuncia il ritorno innovativo dei Semiramis, una delle pietre miliari del Prog italiano anni ’70. Il titolo del nuovo album? Appunto, “La fine non esiste”.

Dopo oltre mezzo secolo di oblio, vecchie glorie del passato riprendono a solcare le righe del pentagramma. Torna sulla cresta dell’onda una delle band considerata tra le pietre miliari del Prog italiano anni ’70. E lo fa in gran spolvero con un nuovo lavoro dal titolo “La fine non esiste”, etichetta Btf/Vm. Questo l’ellepì (una volta il disco veniva definito così) dei Semiramis, presentato ufficialmente in questi giorni a Roma, in anteprima nazionale, alla Discoteca Laziale. Un gruppo ricomparso sulle scene grazie alla passione e alla tenacia di Paolo Faenza (batteria e vibrafono) accompagnato da Ivo Mileto (basso), Emanuele Barco (chitarre elettriche), Marco Palma (chitarre acustiche), Giovanni Barco (voce) e Daniele Sorrenti (tastiere, organi, synth, flauto traverso). Tutti consapevolmente e idealmente uniti in un’unica filosofia, quella di dimostrare che la band adesso c’è. «Sì, ci siamo – conferma Faenza – e a 51 anni dall’uscita del nostro primo album vogliamo guardare avanti. Insomma musica non solo per orecchie Prog…». I giovani sono avvisati.

A dirla tutta, dopo lo scioglimento del gruppo, avvenuto nel 1974, il nuovo corso parte dal 2013 quando il genere musicale ricomincia a fare capolino. Singolare la loro storia. Tutto nacque nello storico quartiere romano di Centocelle dove un gruppo di ragazzi, tutti minorenni tranne uno, volevano a tutti costi seguire la scia del filone musicale nato dopo quello che viene considerato l’antesignano del genere Progressive, ovvero “In the court of the Crimson King”, l’album del 1969 degli inglesi King Crimson.

Alla chitarra un virtuoso sedicenne che in seguito avrebbe percorso una strada solista, lunga e colma di soddisfazioni: Michele Zarrillo. L’unico album della band, considerato tra i migliori dell’epoca d’oro dell’italico Prog (la prima stampa del vinile può arrivare a valere sino a 2mila euro), venne alla luce nell’ottobre del 1973: “Dedicato a Frazz”, titolo originato dalle iniziali dei cognomi dei componenti del gruppo di allora: Faenza, Reddavide, Artegiani, Zarrillo, Zarrillo. Un concept album dove Frazz, personaggio nato dalla fantasia di Marcello Reddavide, è uno psicopatico che viveva pensando che nel luna park dove andava, le persone fossero tutte lì per far divertire lui.

L’album non era ancora terminato, ma i ragazzi lo vollero presentare come si faceva allora: musica e concerti in luoghi particolari, in quel caso nella palestra di un liceo. Dopo aver provato e riprovato nella cantina-box di casa Zarrillo in via dei Gelsi (nella band figuravano sia Michele che il fratello maggiore Maurizio, scomparso nel luglio del 2017, ndr), l’opera su Frazz poteva essere messa alla prova. Siamo più o meno alla fine dell’autunno del 1972 e allo Scientifico Francesco d’Assisi, in viale della Primavera a Roma, già si era sparsa la voce dell’imminente performance. Sorpresa delle sorprese, ad aprire il live, prima dei Semiramis, un semisconosciuto Antonello Venditti, il quale nell’occasione si lamentò del pianoforte che gli era stato messo a disposizione. La risposta fu pronta: «Se non ti va bene, vai a casa e porta il tuo!».

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