8 Settembre 2024
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Salute, Società

Il suicidio, lato notturno della vita

La salva intrattenendola per venti minuti. Un’esperienza che dà luogo alla “cura”, quella serie di attenzioni, gesti, posture da riservare all’Altro. Tutte quelle forme di assistenza che prevedono l’apporto fondamentale e creativo della persona in difficoltà e l’ascolto attento, capace, dell’interlocutore.

Una professoressa in pensione si barrica in un appartamento dell’Eur a Roma, un agente in servizio, suo ex alunno, riconosce la voce della docente e, pur non potendola ancora raggiungere, la salva intrattenendola per venti minuti. Succede grazie ad a una porta chiusa, capace di lasciar trapelare, però, il suono di una voce che rievoca momenti trascorsi in ruolo, quello che nel profondo gli antropologi chiamerebbero “habitus”, diverso, forse più felice. La via di una generalizzazione del fenomeno dei tentati suicidi non è percorribile, perché ogni storia è unica e le ragioni psicologiche sono disparate. Dal bisogno di attenzione, senza fare troppo sul serio, nella gioventù, a cause più gravi, come i disturbi depressivi.

Certo è che il modo di affrontare, insieme, attimi in cui lucidità e voglia di vivere vengono ad affievolirsi è un approccio che deve esser attuato anche dai non professionisti dell’ambito sanitario. Si tratta della meno nota scientificamente, ma altrettanto efficace, “cura”, quella serie di attenzioni, gesti, posture da riservare all’altro quando anche un semplice sorriso e un po’ del proprio tempo agiscono nel complesso delle terapie possibili verso uno stato di maggior benessere. È un percorso che non necessariamente conduce alla guarigione, ma che può avere ricadute idonee e che, di certo, ha a che fare con quel concetto di salute, riconosciuto dalla Costituzione e definito dell’OMS, «come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale». È un approccio noto a professionisti della medicina e delle scienze umane che si occupano dell’ambito medico-scientifico, tanto da essere giunti alla definizione di “medicina narrativa” per tutte quelle forme di assistenza che prevedono l’apporto fondamentale e creativo della persona in difficoltà e l’ascolto attento, capace, dell’interlocutore. Medici, infermieri, operatori sanitari, psicologi, ma anche umanisti e nuove figure nel settore dei servizi alla persona possono essere coinvolti in questo processo volto a mutare il paradigma della salute, intesa come strumento per agire nella società e fine comune.

Ad articolare a parole, oltre alla silenziosa, ma eloquente, testimonianza derivante dal fatto di cronaca che ha interessato l’agente, quanto mai efficiente nel suo prestar servizio al bene del Paese, vi sono le ricerche compute grazie all’osservazione sul rapporto medico-paziente. Ricerche promosse da esperti che si sono ritrovati nella situazione opposta, malati che vorrebbero vivere, consapevoli della propria mortalità, da osservatori a osservati, con un approccio riflessivo sulle dinamiche esterne ed interiori. La studiosa etnografa Francesca Cappelletto, prima di venire a mancare, mise nero su bianco la sua personale, utile e commovente esperienza, diffusa da colleghi, nella “doppia cittadinanza” di antropologa e malata. Una condizione, fa ben notare, che richiede contatto fisico ed emozionale per “riaggregarsi” con quella parte di sé che sembra aver perso potere nel “lato notturno della vita”.

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