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In Abruzzo per Meloni sfida (senza alibi) che non può perdere

10.03.2024

“Ottimismo” su Marsilio, ma una seconda sconfitta dopo Sardegna sarebbe macigno su palazzo Chigi

Roma, 10 mar. (askanews) – Se la Sardegna è stata lo scricchiolio, l’Abruzzo sarebbe il tonfo. Perché nella corsa alla rielezione di Marco Marsilio alla guida della Regione, Giorgia Meloni ha investito molto di suo, sia di politico che di personale. Basta un breve elenco a dare l’idea: è il suo collegio di elezione, è la terra che ha dato a Fratelli d’Italia il primo governatore della sua storia quando ancora la strada per palazzo Chigi era lontana, e poi il candidato è un amico fraterno, cresciuto con lei alla scuola politica di Colle Oppio. Non è un caso, insomma, se tra i meloniani si consideri l’Abruzzo – tra il serio e il faceto – come una succursale di via della Scrofa.Per questo, quella abruzzese oggi per la premier-leader Fdi è una sfida che semplicemente non può permettersi di perdere.

Le differenze con il caso Sardegna sono molte, troppe perché sia possibile trovare eventuali alibi di fronte a una sconfitta. In questo caso, infatti, non c’è il voto disgiunto, non ci sarebbe un Paolo Truzzu che potrebbe personalmente addossarsi la colpa del flop, né si potrebbe dire che la candidatura è arrivata all’ultimo minuto. Marco Marsilio è l’uscente e, paradossalmente, è proprio nella storia elettorale di questa terra che si potrebbe trovare un mezzo capro espiatorio: l’Abruzzo, infatti, finora non ha mai concesso il bis a nessun presidente di Regione. E’ vero, in questo caso il centrosinistra è riuscito a costruire un unico campo larghissimo attorno alla candidatura di Luciano D’Amico, ma nemmeno puntare il dito – come Meloni ha fatto durante il comizio di Pescara – sui leader della fazione avversa che “si vergognano” a dire che stanno insieme, potrebbe bastare a costituire una via di fuga.

Sarà forse per tutte queste ragioni che intorno alla presidente del Consiglio si dicono fiduciosi sull’esito di queste elezioni, anche se si ammette che nelle ultime settimane il divario tra i due sfidanti si è molto accorciato. Meloni allontana da sè il rischio domino dell’effetto Sardegna e si dice “ottimista”. Ma per sicurezza ha spedito ministri e parlamentari in lungo e in largo in Abruzzo a raccontare quello che il governo ha fatto e i soldi che ha stanziato per la Regione e due settimane prima del voto si è premurata di far approvare dal Cipess i fondi per la ferrovia Roma-Pescara. D’altra parte le infrastrutture, insieme alla sanità, sono i due temi caldi su cui si è giocata la campagna elettorale. E d’altra parte l’immagine pubbblica che ha voluto consegnare di sè alla vigilia del voto nel giorno di silenzio elettorale abruzzese, è stata quella di unica donna vincente in mezzo agli azzurri del rugby festanti per la storica vittoria sulla Scozia all’Olimpico nel 6 Nazioni

E’ per tutte queste ragioni che una eventuale sconfitta difficilmente potrebbe essere raccontata come un insuccesso del candidato. Ma nemmeno della coalizione nel suo complesso. I tre leader del centrodestra non hanno mancato di presentarsi tutti e tre insieme in Abruzzo per un comizio a sostegno di Marsilio, ma la competizione interna ai partiti della maggioranza cresce inevitabilmente di giorno in giorno man mano che si avvicinano le Europee, ossia la sfida che, sull’altare della legge proporzionale, porterà tutti a contarsi a quasi due anni dall’inizio del governo. Ed è proprio per questo che mentre si dichiara che “si vince assieme e si perde assieme” sono tutti pienamente consapevoli che magari il successo si potrà anche condividere ma il tonfo sarà sulla testa di uno solo. E per l’Abruzzo quella testa è quella di Giorgia Meloni.

Gli scossoni degli ultimi mesi, soprattutto causati dalle corse a distinguersi del leader della Lega, con ogni probabilità si moltiplicherebbero se per due volte di seguito, in meno di un mese, un candidatro con il marchio meloniano doc dovesse perdere la sfida elettorale per la presidenza della regione. C’è sempre, ovviamente, la possibilità di dire che si tratta di un voto locale e che palazzo Chigi è un’altra cosa. Peccato che a questa teoria non creda nemmeno la presidente del Consiglio che in più di una occasione, da quando è a capo del governo, ha ribadito quella che è una sua convinzione da sempre: il voto amministrativo, con le debite valutazioni sul peso delle dinamiche locali, è sempre anche un giudizio sullo stato di salute del governo.

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