23.08.2023
L’Intelligenza Artificiale generativa non è un essere umano, le sue opere non possono essere protette da copyright. Emanata la prima sentenza che aggiudica l’opera bidimensionale denominata Creativity Machine, creata dall’informatico Stephen Thaler, senza diritti di protezione.
L’Intelligenza Artificiale generativa rappresenta uno dei temi più contrastanti in relazione alla legge sul diritto d’autore. Sta facendo discutere la sentenza formulata da Beryl Howell, giudice federale di Washington, secondo il cui parere »le opere d’arte create dall’Intelligenza artificiale non possono essere protette da copyright dal momento che non possono essere considerate un prodotto della mente umana, requisito fondamentale per la legge americana sul diritto d’autore».
Nella sostanza, il giudice ha avvallato quanto era stato espresso dall’Ufficio sul copyright degli Stati Uniti, che aveva respinto la richiesta, avanzata di negare al creatore informatico Stephen Thaler, di registrare un’opera bidimensionale denominata Creativity Machine, che corrisponde all’algoritmo di intelligenza artificiale con cui è stata generata. Il giudice Howell ha voluto suffragare la sua decisione richiamando altre sentenze formulate da tribunali che pure hanno rifiutato di riconoscere il copyright a opere realizzate senza il diretto lavoro di ingegno umano. Premesso che si tratta della prima sentenza formulata negli USA, relativamente a opere create con la nuova generazione di algoritmi, di cui ChatGPT o OpenAi sono le espressioni più note, il giudice federale di Washington riconosce che siamo di fronte alla nuova frontiera del diritto d’autore.
Come giudicare, d’ora in avanti, opere generate avvalendosi anche, se non esclusivamente, degli strumenti messi a disposizione dall’intelligenza artificiale?
Howell pone due dubbi, uno relativo al peso e alla misura di ingegno umano necessari a stabilire che un’opera possa meritare il copyright, e l’altro sul modo per valutare l’originalità di quanto creato con l’intelligenza artificiale partendo da opere già protette da copyright.
Mentre se ne discute a livello giudico, ci sono piattaforme come ChatGPT AlphaCode e GitHub Coipilot, che stanno costruendo enormi database di testi, immagini e video, in cui si pensano possa ricadere anche materiale informativo e iconografico protetto da copyright. Gli stessi sviluppatori di software con grande capacità generativa potrebbero far valere i propri diritti di proprietà intellettuale su qualsiasi cosa venga creata dagli utenti che impiegano i loro strumenti informatici avanzati.
In assenza di uno standard legislativo accettato e riconosciuto a livello globale, il rischio è che i tribunali possano essere chiamati ad esprimersi su migliaia di casi di supposta violazione di diritti di proprietà intellettuale. Per questo motivo, i legislatori americani, europei e cinesi stanno lavorando a un regolamento che definisca i parametri e i diritti delle opere prodotte con l’intelligenza artificiale generativa. L’Unione europea potrebbe essere la prima a emanare una normativa ad hoc.
La legge AI Act è stata approvata dal Parlamento europeo il 14 giugno scorso e dovrebbe essere finalizzata l’anno prossimo, dopo le consultazioni con il Consiglio e gli Stati membri. Ma come si farà a stabilire che uno scritto o un’opera visiva non sia troppo simile a qualcosa già esistente e protetto da copyright?