03.12.2024
Per i giovani europei, la crisi climatica in corso è motivo di preoccupazione e di incertezza verso il futuro, anche in tema di genitorialità. Un quadro definito emerge dallo studio Il rischio climatico e l’impatto sulle intenzioni di fecondità dei giovani europei, la cui prima autrice è Irene Frageri.
Lo studio è presente in La condizione giovanile in Italia (2024) e si interseca con una più ampia indagine europea. Irene Frageri, esperta di demografia e dottoranda dell’Università di Bologna, svolge le sue ricerche all’interno del progetto europeo POPCLIMA, un grande e innovativo studio interdisciplinare che indaga la relazione tra cambiamento climatico e popolazione, tenendo conto in particolare di mortalità, fecondità e migrazione.
Come è strutturata la vostra ricerca su cambiamento climatico e fecondità?
«Ci sono tanti modi in cui il cambiamento climatico impatta la fecondità. Io mi occupo dei Paesi industrializzati, perché ci sono dinamiche molto diverse tra Paesi che hanno economie diverse. Il nostro studio tiene conto di due cose: da un lato guarda agli aspetti fisiologici, perché studi recenti rivelano cali della natalità a distanza di 8-10 mesi dalle ondate di calore. L’altra cosa è una conseguenza indiretta, cioè la preoccupazione per il cambiamento climatico, è il filone del “narrative framework” e riguarda l’incertezza. La bassa natalità è uno dei problemi maggiori a livello demografico: oggi c’è un processo di invecchiamento della popolazione che non è sostenuto dalle nascite. E c’è poi un altro aspetto interessante, cioè che il numero desiderato di figli è maggiore di quelli che si fanno realmente. Gli aspetti economici, sommati all’elemento climatico, creano un futuro di incertezza e il nostro studio cerca di capire quanto pesa il cambiamento climatico nelle intenzioni di genitorialità dei giovani».
Che metodologia di indagine avete seguito per lo studio?
«È una survey condotta tra novembre e dicembre 2022 su seimila giovani tra i 18 e 34 anni in Italia, Francia, Spagna, Regno Unito e Germania. Sono state poste diverse domande, tra cui quelle sui desideri di fecondità. Ad esempio, è stato chiesto alle persone se nei successivi tre anni intendessero avere un figlio o un ulteriore figlio. A chi rispondeva di no – il 53% – sono state date 11 motivazioni, per ognuna delle quali dovevano indicare il proprio grado di accordo o disaccordo. Si chiedeva anche se, nei 5 anni precedenti, avessero vissuto degli eventi estremi legati al cambiamento climatico».
Quali sono i risultati?
«C’è una percentuale relativamente alta di persone che dicono di non volere un figlio per via del cambiamento climatico e il 58% associa questa scelta al benessere del figlio nel futuro. Il primo fattore che influenza le intenzioni di genitorialità è quello economico, il secondo è quello climatico e tra i due c’è una forte correlazione: chi è preoccupato per il futuro climatico lo è anche per il futuro economico. Sono percentuali alte, quasi il 60% delle persone e questo fa emergere il quadro di incertezza. Confrontando i risultati dei diversi Paesi, abbiamo visto che queste due motivazioni erano presenti in percentuale più alta in Italia e in Spagna. In Italia, per il 70% dei partecipanti l’incertezza sul futuro è causata da motivi economici, mentre il 68% associa questa preoccupazione al benessere del figlio in relazione al cambiamento climatico. Tranne la Spagna, negli altri Paesi le donne sono le più preoccupate per il benessere del figlio in un futuro impattato dal cambiamento climatico. E alte percentuali sono presenti anche tra le persone che hanno vissuto un evento ambientale estremo».