13 Febbraio 2025
Milano, 8°

Mondo, Sostenibilità

L’internazionale negazionista

12.02.2025

Per comprendere davvero le politiche anti-ambientali di Donald Trump, che pure al momento non sono ancora pienamente passate dal piano degli annunci a quello dei fatti, è necessario collocarle nel contesto di un’internazionale negazionista come risposta alla transizione ecologica e, ancora più in generale, come risposta alla società aperta figlia dell’Universalismo di stampo illuminista.

Certo, l’attacco dell’amministrazione Trump alle agenzie statunitensi, dall’Agenzia per la protezione ambientale (Epa) a quella per lo sviluppo internazionale (Usaid), nasce anzitutto dalla consapevolezza di come l’apparato burocratico, il cosiddetto “Deep State”, abbia rappresentato un ostacolo insormontabile per la prima presidenza Trump. Ragion per cui tra le principali raccomandazioni dei consiglieri trumpiani, tra i quali l’Heritage Foundation, vi è proprio lo smantellamento degli uffici statali, la sostituzione dei funzionari ostili con funzionari fedeli e quindi la creazione di una base tecnica che permetta la gestione della grande transizione, dall’America liberal all’America di Trump. Un’impresa enorme, facile a dirsi, difficilissima a realizzarsi – vista anche la mole degli apparati statunitensi – eppure indispensabile per le mire rivoluzionarie di Donald Trump.

Tuttavia, dietro l’attacco allo “Stato”, c’è un aspetto ancora più rilevante. Agli occhi del trumpismo, le agenzie statunitensi rappresentano la versione istituzionale di quello spirito illuministico, internazionalista, progressista, ecologista, da “società aperta” che è il grande nemico da abbattere, tanto per la filosofia di Trump quanto per quell’Internazionale sovranista che, con Trump, divide molti valori culturali di fondo. In tal senso, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente, la legge statunitense sul clima (Ira) e il sistema statunitense delle aree protette stanno a Trump come l’Unione europea e il Gren Deal stanno ai sovranisti europei: sono l’espressione del pensiero nemico e l’ostacolo sulla strada della controrivoluzione culturale. Vanno attaccati in ogni modo, delegittimati, abbattuti (si vedano le recenti accuse di illegalità a Commissione europea e Ong ambientaliste).

Perché la transizione ecologica sta generando una reazione così violenta? La ragione è semplice: perché con la transizione ecologica decenni di istanze ambientaliste sono arrivate a compimento e all’orizzonte si è cominciato a scorgere la possibilità di un cambiamento reale. Alle grandi politiche ambientali, finora soprattutto teoriche, il Green Deal ha dato un’ambizione, una natura di concretezza e una tempistica mai viste prima. Niente di irragionevole, e anzi una serie di azioni programmate nel tempo, sostenute da accettabili (pur se molto migliorabili) dosi di finanziamento e vari meccanismi di revisione e aggiustamento. In ogni caso troppo, per chi non ha intenzione di procedere ad alcuna modifica dello status quo e, al contrario, progetta di scavalcare l’ambientalismo all’indietro, in direzione di un ritorno ai vecchi tempi.

A questo problema (cioè l’inedita forza delle politiche ambientali) si aggiunge un altro elemento determinante quale l’evidenza della gravità della crisi ecologica nelle sue varie forme, dal clima alla perdita di biodiversità, dal dramma degli oceani all’avvelenamento della terra. Problemi oramai difficili da negare scientificamente e da affrontare con urgenza, politicamente e praticamente.

Ecco allora che, con la transizione ecologica, si afferma una nuova forma di negazionismo, che riguarda non più (ovvero non tanto) la contesa sulla scienza ma la contesa sui valori. Il negazionismo scientifico nega il problema: “La crisi climatica non esiste”. Il negazionismo culturale nega la soluzione: “Che la crisi climatica esista o meno, non esiste la vostra soluzione. È una soluzione inaccettabile, al pari della visione del mondo che sottende”.

Si tratta di un salto di qualità strategico, che sposta l’accento dal campo della teoria scientifica a quello della teoria e della pratica sociali e porta la contesa sul campo vivo dello scontro politico. Il discorso scientifico, più che delegittimato, viene derubricato, nel senso che ciò che conta non è la verità del reale ma la verità del desiderio. Nella misura in cui il dato scientifico contrasta con il desiderio, il dato scientifico è scartato. “Voglio continuare a vivere così! Voglio usare la plastica, guidare una diesel, consumare senza limiti!”.

Si tratta di una strategia molto forte, che fa leva su uno dei motori più potenti della storia dell’umanità, il desiderio, e lo usa senza scrupoli, ricorrendo anche al tema delle difficoltà economiche che la transizione ecologica determinerà e dunque all’impatto negativo sulle persone, le loro abitudini, la loro vita. Insomma, non solo mortificazione dei desideri ma anche insoddisfazione dei bisogni. “Fare l’Europa grande di nuovo” significa dunque anche questo: riportare l’Europa a prima delle direttive comunitarie ambientali e delle burocrazie europee, quando potevamo vivere più serenamente, nell’ordine tradizionale delle pratiche.

Per contrastare quest’azione anti ambientale vasta, organizzata e molto seria, le cui radici affondano in decenni di preparazione teorica, non basta riaffermare il valore della scienza contro il disvalore delle falsità antiscientifiche. Il ruolo e il rilievo della scienza vanno difesi e rilanciati, riaffermando il senso migliore dell’illuminismo, della conoscenza, dell’argomentazione informata.

Al tempo stesso, bisogna avere consapevolezza del nuovo orizzonte culturale in cui la contesa si svolgerà, e accettare la sfida. Ciò significa, tra le altre cose, saper affiancare al discorso scientifico un discorso più forte ed efficace sui valori della natura. Su cosa significa, in termini di benessere umano, un ambiente sano e una natura protetta. Su quale guadagno, in termini di sostenibilità, giustizia ed anche serenità esistenziale, comporti la corretta attuazione del percorso di transizione che ci porterà a una società ecologica, o a qualcosa che le somigli molto. Questo bisogna fare: mostrare che la natura è importante. Accettare la sfida dei suoi valori e giocarla al meglio.

 

Condividi