21 Novembre 2024
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Cultura

Ipocrisia e post-verità

10.10.2024

Shéhérazade, René Magrit, 1950. Olio su tela. 40 x 30 cm.

La realtà sperimentata quotidianamente non è altro che una copertura atta a nascondere qualcos’altro. “Niente è come sembra” è la password illusoria che si dissolve davanti a una realtà che evapora, lasciando spazio ai pregiudizi di soggetti poco attrezzati a distinguere ciò che accade dentro la loro testa da ciò che avviene fuori.

Li chiamano soggetti dissociati e sono i protagonisti assoluti dei nostri tempi ondivaghi. Nel turbinìo di eventi sempre più incalzanti anche la realtà si riveste di poliedricità, presentando terreno adatto a una ridda d’interpretazioni che inducono a considerare solo i fatti nella loro nudità senza avventurarsi nella giungla (ritenuta ostile) della bontà delle intenzioni sottese. E da questa premessa si dirama il (di)svalore del pregiudizio che si fa concime per fertilizzare trappole interpretative e inganni e raggrumati attorno alla domanda: che cosa c’è dietro? Cardine di un nuovo approccio conoscitivo fondato sulla dietrologia (che conferisce doti di superiorità a chi la pratica: sappiamo noi come stanno le cose), in grado di modellare una forma mentis che fa del complottismo (vero o presunto tale) il proprio grimaldello per scardinare la serratura del razionalismo e dell’informazione onnipresente.

Tutti insieme appassionatamente, dunque, nel mondo dei retroscena sui giornali e attraverso le tv, con la deriva dei social capaci di amplificare anche la minutaglia di avvenimenti deprivati di ragionevolezza ma dotati dell’appeal dello scetticismo nei confronti di qualsiasi mediatore della conoscenza, per indirizzare la navicella nel mare magnum del culto fideistico dei vari Trump, Orsini, e filosofi post-moderni. Un percosso tortuoso basato sulla fiducia, quello dei dissociati, che, da processo dichiaratamente emotivo glissa la motivazione razionale del credere e sposa la contraddittorietà di una fede, caratterizzata (alla Tertulliano) dal “Credo quia absurdum” (Credo perché è assurdo). Diventa illuminante, allora, seguire i passi di Mattia Ferraresi che, nel suo saggio “I demoni della mente”, disegna la mappa della tendenza contemporanea a costruire “verità alternativeal fine di accordare fiducia alle tesi più irragionevoli a causa d’una palese diffidenza nei confronti delle verità (anche) più conclamate, semmai condivise dai più e con basi solide di scientificità (ritenute evidentemente non bastevoli per essere ritenute credibili).

Tenendo a distanza teorie filosofeggianti, si snocciolano storie paradigmatiche, dai punti in comune tra Taylor Swift e Donald Trump alla saga di Matrix e gli influssi sulla cultura digitale, dalle criptovalute agli uomini pipistrello sulla luna, fino alla sette apocalittiche, ad assemblare tutt’insieme un campionario di false verità e autentiche imposture. Con quella strana sensazione di ritrovarsi, poste sullo stesso crinale della contemporaneità, da un lato le posizioni dei complottisti della destra reazionaria e dall’altro i progressisti della sinistra woke, due tendenze solo apparentemente agli antipodi, ma accomunate in sostanza (questa la tesi dell’autore Ferraresi) dall’idea comune che la realtà sperimentata quotidianamente non sia altro che una copertura atta a nascondere qualcos’altro. Nell’epoca in cui non si ha fiducia in niente, ma si crede a tutto, quest’assunto assume il significato di una categoria dello spirito che orienta i comportamenti alimentando credenze.

“Niente è come sembra” è la password illusoria che si dissolve davanti a una realtà che svapora lasciando spazio ai pregiudizi e a quei conflitti interpretativi in soggetti poco attrezzati a distinguere ciò che accade dentro la loro testa da ciò che avviene fuori. Il mondo che crediamo di conoscere è soltanto un “grande show cibernetico” modello Matrix, fatto apposta per tenerci buoni, in attesa della “pillola rossa” che ci disvela la sostanza delle cose. La realtà così come appare (un groviglio di impulsi) è soltanto illusione e inganno con lo strascico delle sue molteplici rappresentazioni, ognuna delle quali autoreferenziale e incomunicabile?

Shéhérazade, René Magrit, 1950. Olio su tela. 40 x 30 cm.
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