23 Dicembre 2025
/ 23.12.2025

Israele: attacco alle ong e all’informazione

Si restringono gli spazi di libertà, il governo Netanyahu riduce in modo strutturale i contrappesi democratici. La denuncia di Medici Senza Frontiere: rischiano di dover abbandonare la popolazione allo stremo. Sarà chiusa dopo 75 anni perfino la Radio dell’esercito israeliano

In Israele lo spazio per il dissenso, l’azione umanitaria e il racconto indipendente della guerra si sta restringendo rapidamente. La stretta sulle ong internazionali che operano a Gaza e le recenti decisioni contro l’informazione critica segnalano un cambio di fase: non più singoli provvedimenti emergenziali, ma una linea politica che riduce in modo strutturale i contrappesi democratici.

Ong a tempo: il conto alla rovescia per l’azione umanitaria

Il nuovo sistema di registrazione imposto alle organizzazioni internazionali introduce criteri vaghi e fortemente discrezionali. Chi non ottiene il via libera entro fine anno ha sessanta giorni per cessare le attività. È un bazooka legislativo che può colpire anche le ong più strutturate e radicate, comprese quelle che da mesi garantiscono assistenza sanitaria, acqua potabile, cure per la malnutrizione e supporto logistico nei campi profughi.

Senza le ong internazionali, a Gaza verrebbe meno gran parte dell’infrastruttura umanitaria: ospedali da campo, ambulatori, distribuzione idrica, servizi igienici, programmi nutrizionali. L’impatto sarebbe immediato perché nessun altro ha oggi la capacità operativa per sostituirle su larga scala.

Medici Senza Frontiere: “Rischiamo di dover interrompere le operazioni

Tra le organizzazioni più esposte c’è Medici Senza Frontiere, che nei giorni scorsi ha denunciato il rischio di essere costretta a lasciare Gaza. In un messaggio pubblicato su X, l’ong ha ricordato l’entità delle attività svolte nella Striscia dall’inizio della guerra: “800 mila visite, 22.700 operazioni chirurgiche, 700 milioni di litri di acqua. Questo è quello che abbiamo fatto a Gaza ed è a rischio”.

Medici Senza Frontiere ha spiegato di aver completato la procedura di registrazione prevista dalla nuova legge, senza però aver ricevuto alcuna risposta dalle autorità israeliane. Una situazione che, secondo l’organizzazione, rende concreto lo scenario di un’interruzione forzata delle attività umanitarie, con conseguenze immediate sulla popolazione civile, già allo stremo.

Dall’Unrwa alle fondazioni private: aiuti sotto controllo

Una mossa preceduta dalla marginalizzazione delle Nazioni Unite e dalla chiusura delle attività dell’Unrwa. Elementi che si inseriscono in una strategia più ampia: spostare la gestione degli aiuti verso soggetti esterni selezionati, con un controllo politico e militare molto più stretto. Un modello che ha già prodotto esiti drammatici, tra caos nella distribuzione e vittime civili durante l’accesso ai beni di prima necessità.

In questo contesto, la riduzione dello spazio per le ong non è un effetto collaterale della guerra, ma uno strumento per ridefinire chi può agire, come e sotto quali condizioni.

Informazione sotto tiro: il caso della Radio militare

La stretta non riguarda solo il fronte umanitario. La decisione del Parlamento di chiudere la Radio militare, la radio dell’esercito israeliano, storicamente una voce autonoma e talvolta critica, segna un passaggio simbolico. L’accusa è di “minare il morale”, una formula che richiama contesti di guerra totale e che amplia pericolosamente il perimetro di ciò che può essere considerato lecito nel racconto dei fatti. Perfino la voce dell’esercito viene messa a tacere dopo 75 anni di trasmissioni. È un messaggio chiaro anche al resto dei media: il dissenso non è più tollerato nemmeno dentro le istituzioni.

Le misure contro ong e informazione si inseriscono in un quadro più ampio di radicalizzazione. Il rafforzamento del controllo governativo sulle commissioni d’inchiesta, le pressioni sulle proteste interne e le proposte estreme sul trattamento dei palestinesi indicano una deriva che preoccupa non solo le organizzazioni internazionali, ma anche settori della società civile israeliana.

Il rischio è quello di un doppio silenzio: meno testimoni indipendenti sul terreno e meno voci critiche capaci di raccontare cosa accade, dentro e fuori Gaza.

Israele resta una democrazia formale, ma l’uso prolungato dell’emergenza come cornice politica sta trasformando regole temporanee in strumenti permanenti. Limitare l’azione delle ong e indebolire l’informazione non aiuta a risolvere il conflitto, ma riduce la possibilità di comprenderlo e di mitigarne gli effetti sui civili. Quando chi cura, assiste e racconta viene messo all’angolo, lo spazio della libertà si restringe.

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